Libano e Tunisia al voto: è la primavera delle donne

A Beirut in lizza 86 candidate. E Tunisi potrebbe diventare la prima città con un sindaco femmina

Libano e Tunisia al voto: è la primavera delle donne

Avanti popolo (delle donne). Alla riscossa. Lo avessero detto, un giorno, alla buonanima dell'ayatollah Khomeini e al mullah Omar, il leader dei Talebani, avrebbero gridato all'eresia. Un Parlamento pieno di deputate? Difemmine? Ma dove, ma quando mai?!

E invece. A giudicare da quanto accade in due dei Paesi più democraticamente avanzati del vicino Oriente, sembra di rivedere lampi di quella primavera araba che sembrava morta e sepolta da un pezzo. Si vota in Libano e in Tunisia. E mentre a Beirut le candidate sono 86 (erano 12, l'ultima volta) e il loro obiettivo è di andare a occupare una ventina dei 168 seggi in palio, a Tunisi si registra un altro primato storico al femminile; giacché le donne, al di là del canale di Sicilia, hanno conquistato il diritto a una quota («rosa», diremmo noi) del 50 per cento sul totale dei candidati.

È la novità più rilevante, socialmente e politicamente parlando, di quanto sta lievitando nel mondo arabo-musulmano, dove perfino le monarchie più retrive e démodé, come quella saudita, hanno deciso che imporre la palandrana nera alle donne, come si era fatto fino a qualche mese addietro, è piuttosto anacronistico, in effetti.

In Libano, dove 3,7 milioni di persone sono tornate a votare ieri dopo quasi un decennio senza elezioni, la politica è sempre stata una faccenda declinata al maschile. E anche le poche deputate attuali sono espressione delle famiglie che da quarant'anni fanno il bello e il cattivo tempo nel Paese dei cedri. Bahia Hariri, per esempio, è la madre dell'attuale premier Saad. Mentre Strida Geagea è la moglie del leader cristiano Samir Geagea. Ci vorranno volti nuovi, donne coraggiose per incrinare la cappa di oscurantismo con cui il partito degli Hezbollah, gli sciiti integralisti alleati della Siria, intende soffocare gli aneliti di libertà che si respirano in un Paese a forte vocazione filo-occidentale. A proposito: presenza femminile, tra i candidati hezbollah, zero spaccato.

Volti nuovi, donne coraggiose, si diceva, capaci di conquistare spazi di eguaglianza, di parità fra i sessi che la cultura egemone (e in questo cristiani e musulmani si somigliano) punta a negare loro. Certo a Beirut e dintorni non è come essere negli Emirati. Sulla cornice di Beirut, tra i grandi alberghi e i grattacieli che si affacciano sul Mediterraneo, così come a Baabda e Nabatieh, le donne guidano, lavorano, escono la sera con le amiche e indossano sempre meno il velo. Ma se si guarda al mondo del lavoro si scopre che le donne occupate sono solo il 22 per cento della popolazione attiva, contro il 73 per cento degli uomini. Così come manca tuttora un codice di famiglia unico, valido per cristiani e musulmani, che protegga i diritti di donne e bambini su temi come divorzio, affido dei figli, eredità.

Stessa atmosfera «primaverile» in Tunisia, dove oltre al 50 per cento delle candidature femminili va registrato l'obbligo per i partiti in lizza di proporre almeno un giovane da inserire tra i primi quattro posti in lista e un disabile fra i primi dieci. Donna fatto anche questo mai visto- è Souad Abderrahim, che punta a fare il sindaco di Tunisi.

I musulmani moderati di Ennahda e i laici liberali di Nida Tunis, i due principali partiti del governo d'unità nazionale, si contendono la maggioranza: una consultazione amministrativa, ma il significato politico del voto riaccende le speranze di vedere resuscitare lo spirito di quella «rivoluzione dei gelsomini» nata nel 2011 e troppo presto abortita.

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