«Per noi già oggi è Natale», esclama con la voce rotta dall'emozione Cristina Amabilino, la moglie di uno dei 18 pescatori rilasciati dopo 108 giorni di detenzione in Libia. Siamo liberi è il messaggio vocale ricevuto dalla figlia di un altro pescatore, che assieme a Cristina presidiava per protesta la piazza davanti al Parlamento. A bordo dei loro pescherecci, il Medinea e l'Antartide, i prigionieri rilasciati a Bengasi dovrebbero fare rotta verso casa, dopo avere caricato le batterie ieri sera, per arrivare fra sabato e domenica.
L'operazione è stata condotta fin dall'inizio dai servizi segreti (Aise), ma l'Italia ha pagato un «prezzo» politico con la visita lampo del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, al generale Khalifa Haftar, che ha usato i pescatori come pedina per tornare al centro della scena con l'Italia. Quando il Falcon dell'aeronautica è decollato da Roma con il premier ed il ministro è iniziata la fine dell'incubo per i 18 pescatori sequestrati al largo della Libia il primo settembre dalle milizie di Haftar. L'aereo del governo è atterrato nella base di Al-Rajma accolto dall'uomo forte della Cirenaica, che «ha elogiato il ruolo dell'Italia e i suoi sforzi a sostegno del percorso per risolvere la crisi libica». Grazie alla visita imposta il premier Conte scrive su facebook postando la foto dei pescatori appena liberati: «Buon rientro a casa». Poi tocca a Di Maio: «I nostri pescatori potranno riabbracciare le proprie famiglie e i propri cari. Grazie all'Aise (la nostra intelligence esterna) e a tutto il corpo diplomatico che hanno lavorato per riportarli a casa».
Nel frattempo i 18 rilasciati salgono a bordo dei due pescherecci, Medinea e Antartide, ma ci metteranno tutto il giorno per avviare i motori e risolvere altri problemi tecnici. A Mazara del Vallo, da dove erano salpati, scoppia la gioia. E' il più bel regalo di Natale che potessi mai ricevere. Ho già perso un figlio in mare. Non potevo sopportare l'idea di perderne un altro. Sono stati tre mesi durissimi, ma ora l'incubo è finito dichiara Rosetta Ingargiola, 74 anni, «madre coraggio» di uno dei pescatori liberati. Marika Calandrino, la moglie più giovane, è riuscita a parlare brevemente con il marito: «Quando ho sentito Giacomo al telefono sono esplosa in un pianto dirotto, ci siamo messi a piangere entrambi come bambini. In questo tre mesi la forza me l'ha data nostra figlia Gaia di un anno». Il marito, però, non sta molto bene: «Ha perso più di dieci chili».
Il calvario durava dalla sera del primo settembre quando i pescherecci sono stati sequestrati a 40 miglia da Bengasi, in acque internazionali, da una piccola motovedetta con quattro uomini armati di kalashnikov. Una nave della nostra Marina, che avrebbe potuto lanciare un elicottero per salvarli non è intervenuta. A bordo dei pescherecci siciliani ci sono 8 italiani, 6 tunisini, alcuni dei quali vivono da tempo in Italia e 2 senegalesi. L'autoproclamato esercito libico di Haftar li accusa di avere violato una zona esclusiva di pesca stabilita ancora da Gheddafi. I libici chiedono il rilascio di quattro scafisti condannati in Italia spacciati per semplici calciatori e saltano fuori accuse infondate ai pescatori di traffico di droga. I prigionieri riescono a chiamare un paio di volte i familiari, però pochi parlano del loro caso. In Libia non sono in un carcere duro, ma neppure in albergo.
La detenzione si allunga perchè Haftar vuole usare i pescatori per ottenere nuovo credito dall'Italia come è avvenuto con la visita di Conte e Di Maio. Il vescovo di Mazara, Domenico Mogavero, che pochi giorni fa invocava un blitz dei corpi speciali, ha annunciato che porterà «i pescatori liberati dal Santo Padre, lui ci è sempre stato vicino».
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