Spesse colonne di fumo nero si sono alzate sul cielo di Tobruk. Centinaia di manifestanti hanno preso d'assalto il parlamento nella città orientale della Libia.
Un assalto furioso, con un bulldozer che si è schiantato su una parte del cancello del complesso, e ha reso più facile l'irruzione all'interno. Una parte del palazzo è stata bruciata, e anche le auto della polizia sono state date alle fiamme. I ribelli sono entrate nell'edificio vuoto, per via del giorno festivo, e l'hanno saccheggiato. Altri manifestanti, alcuni dei quali sventolavano bandiere verdi dell'ex regime di Muammar Gheddafi, hanno bruciato documenti raccolti negli uffici. Ma l'ennesima rivolta infiamma tutto il Paese. Cortei si sono svolti anche a Bayda, Misurata e Tripoli, davanti alla sede del governo di unità nazionale. Un'ondata di proteste si è abbattuta da Est a Ovest, e nella capitale c'è stata la più grande manifestazione degli ultimi anni.
La rabbia dei cittadini è rivolta contro la classe politica, giudicata incapace di dare risposte concrete ai problemi quotidiani, e che non è stata in grado di convocare nuove elezioni, dopo l'annullamento di quelle previste lo scorso dicembre. I manifestanti di Tobruk, accusano il parlamento anche di tradimento e furto di denaro pubblico. «Siamo stufi! Vogliamo l'elettricità!», hanno gridato i manifestanti a Tripoli, insieme ad altri canti in cui si chiedono elezioni. Sono stati pure scanditi slogan contro le fazioni armate che esercitano il controllo su aree della Libia. «No alle milizie. Vogliamo polizia ed esercito», hanno urlato.
Il primo ministro libico sostenuto dalla comunità internazionale, Abdel Hamid Dbeibah, è intervenuto. «Aggiungo la mia voce ai manifestanti in tutto il Paese: tutti gli organi politici devono dimettersi, compreso il governo, e non c'è modo per farlo se non attraverso le elezioni», ha scritto su Twitter. Nel frattempo, a febbraio il parlamento con sede nell'Est ha nominato Fathi Bashagha a capo di un nuovo governo anche se Dbeibah si rifiuta di cedere il potere, e lo stallo politico minaccia di peggiorare la situazione.
L'inviata delle Nazioni Unite per la Libia, Stephanie Williams, ha fatto notare che la violenza è inaccettabile, ma l'ha descritta come un «appello alla classe politica» a mettere da parte le loro divergenze e tenere le elezioni che il popolo libico vuole.
La protesta è arrivata in un momento particolare, quando i libici fanno i conti da giorni con le continue interruzioni di corrente.
Il settore elettrico libico è stato minato da anni di guerre e caos politico, che hanno bloccato gli investimenti, impedito i lavori di manutenzione e talvolta danneggiato le infrastrutture. Le fazioni dell'Est hanno bloccato gli impianti petroliferi, e hanno ridotto la fornitura di carburante alle principali centrali elettriche, e ciò ha causato più blackout.
Le ultime settimane hanno visto anche ripetute frizioni tra gruppi armati a Tripoli, che hanno suscitato timori di un ritorno al conflitto su vasta scala. Per l'ente nazionale, la National Oil Corporation libica, ci sono state perdite finora per 3,5 miliardi di dollari.
«Sono qui oggi per protestare contro tutti quelli che hanno portato questo Paese all'inferno», ha detto Omar Derbal, 23 anni, studente di scienze. «Siamo un Paese produttore di petrolio che ha interruzioni di corrente ogni giorno. Significa che il Paese è gestito da individui corrotti».
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