Qualche giorno fa a chi gli chiedeva, nel tradizionale giochino di fine anno, tre cose che si augurava cambiassero nel 2018, Matteo Renzi, tra il serio e il faceto, aveva risposto: «Bankitalia. Bankitalia. Bankitalia». Probabilmente oggi, dopo la tregua «armata» siglata con il governatore Visco, l'ex premier non esprimerebbe più quel desiderio. Nessuna sorpresa: nei giochi di potere le opinioni cambiano velocemente, per «realpolitik».
Ieri l'ottovolante dei sentimenti e dello stato d'animo del segretario del Pd, determinati dai coup de théâtre che vanno in scena nella commissione d'inchiesta sulle banche, ha avuto degli alti e bassi ancora più repentini. Federico Ghizzoni, l'ex capo di Unicredit, che con le sue rilevazioni sull'interessamento di Maria Elena Boschi sulle vicende di Banca Etruria nel libro di Ferruccio De Bortoli, aveva dato inizio alle tribolazioni della pupilla del segretario del Pd, prima ha fatto sorridere Renzi e, poi, gli ha dato un dispiacere. Sulla diatriba tra la Boschi e De Bortoli il banchiere ha sposato una versione che non ha penalizzato la prima. Tant'è che Renzi si è lasciato andare ad una battuta di spirito: «Oggi De Bortoli ha perso la causa!». Poi, però, rispondendo in maniera impacciata ad alcune domande dei commissari, Ghizzoni ha tirato fuori la storia di una e-mail ricevuta dall'amico e confidente dell'ex premier, Marco Carrai, che non si sa a quale titolo, sollecitava nei giorni caldi delle crisi bancarie una risposta dal vertice di Unicredit sull'ipotesi di acquisizione di Banca Etruria. Un'uscita, inutile dirlo, che preannuncia nuovi giorni di polemiche: «Ora ripartiranno speculazioni - ha sospirato il segretario del Pd, tuffandosi nelle congetture - Tutto è cominciato con lo scherzetto inaspettato di Vegas. Un giochino confezionato con Banca d'Italia e Zoggia, l'uomo di Bersani. Studiato nei dettagli. Magari anche con la complicità di Forza Italia Ora c'è la puntata di Ghizzoni».
Già, la commissione d'inchiesta sul sistema bancario si è consumata in un tourbillon di allusioni, omissioni, attacchi e tregue tra pezzi dell'establishment politico e finanziario italiano, che ha lasciato intatti segreti scabrosi e pericolosi della Storia del Paese (dalla voragine del Monte dei Paschi di Siena, con annesso il giallo di un suicidio-omicidio di uno dei suoi dirigenti, alle ombre sulla crisi del governo Berlusconi nel 2011), occupandosi, quasi esclusivamente, degli uomini del Giglio Magico: prima della Boschi e ora di Carrai. Anche solo questa constatazione segnala un fallimento. Innazitutto, perché i limiti e la vulnerabilità di un sistema di credito che ha ridotto ai minimi termini l'economia italiana negli anni della crisi, non possono essere letti solo alla luce delle vicende e dei protagonisti che hanno portato al fallimento di una banca toscana, che valeva un trentesimo di Mps. In secondo luogo perché segnala un decadimento dell'intero establishment del Paese, tra dilettantismo e rancori. Basta pensare al comportamento di Ghizzoni, che per un anno ha tenuto tutti con il fiato sospeso per le indiscrezioni sul comportamento della Boschi affidate all'abile penna di De Bortoli e, ieri, in zona Cesarini, ha tirato in ballo un altro uomo ombra di Renzi, Carrai. Sollevando degli interrogativi legittimi nel Palazzo: perché lo ha fatto? Perchè solo ora? Un comportamento singolare che ha suscitato in molti la nostalgia dei tempi antichi. «Cuccia - è il commento laconico del senatore di Forza Italia, Franco Carraro - diceva che il peggior peccato per un banchiere non è fuggire con la cassa, ma parlare del proprio cliente. A paragone di Cuccia, Ghizzoni sembra un megafono». Un concetto su cui ha ironizzato anche il presidente della commissione, Casini: «Non telefonate e non scrivete a Ghizzoni - ha scherzato - perché lo sapranno tutti».
Dilettantismo, però, lo ritrovi anche negli uomini del Giglio Magico. «Io - rammenta Nicola Latorre, un tempo eminenza grigia di Massimo D'Alema - portai Cuccia in incognito da Massimo, a Palazzo Chigi. Senza che se ne accorgesse nessuno. E dopo aver trascorsi 40 minuti con lui, io che ero stato comunista, scoprii che se fossi rinato avrei voluto essere come Cuccia». Certo il cerchio stretto del renzismo ha commesso peccati più che altro di forma, di etichetta. Perché nessuno di quei colloqui, di quelle supposte «pressioni» ha portato a nulla, visto che Banca Etruria è fallita. Ma a volte la superficialità, rischia - o offre a qualcuno l'occasione - di trasformare la «forma» in «sostanza». «Il problema è che questi sono dei furbi di paese - osserva Massimo Mucchetti, da mesi in rotta con il vertice Pd - Tentano di fare affari, non li fanno e si sputtanano come se li avessero fatti. Dando ragione a D'Alema che gli predice una brutta fine». Che l'intera vicenda sia stata gestita con un'eccessiva dose di pressappochismo lo ammette anche un renziano doc come il sottosegretario, Angelo Rughetti. «Corriamo - ammette - verso il suicidio. Dilettanti allo sbaraglio. Dovevamo mettere al centro Bankitalia o Mps. Invece, c'è finito in mezzo il giglio magico».
Dilettantismo, pressappochismo, superficialità non spiegano, però, tutto. La verità è che su questa vicenda sono cominciate le manovre sugli equilibri politici del dopo elezioni: lo scontro tra i partiti e, in parallelo, le mosse di pezzi establishment che cercano di ricollocarsi (Vegas), o di difendere il proprio ruolo (Visco). Uno assedio al potere declinante, quello renziano, che probabilmente sfocerà in una tregua in attesa delle politiche. Ma quanto è avvenuto ha lasciato ferite profonde. Soprattutto, Renzi si è sentito solo. «Non so - confessa Renzi - se Berlusconi sta partecipando al gioco contro di me. Ma rischia. Se vince amen, ma se finisce pari, come io penso, è più facile che i miei buttino fuori me e vadano con Grillo. Mi è passata anche la voglia di tornare a Palazzo Chigi. Non mi preoccupa il risultato delle politiche. Sarà meglio dei sondaggi. Sono amareggiato. Berlusconi mi ha deluso anche sul piano umano. Così riavrà i suoi amati comunisti. Se la veda lui. Secondo me faranno un accordo con i 5 Stelle». Inutile dire che ad Arcore non la pensano così. Giurano che l'ex-presidente della Consob, Vegas, non è più di casa. E raccontano che il Cav sulle banche ha predicato prudenza. «Non dobbiamo affondare la lama - è l'indicazione che ha dato ai suoi-, neppure sulla Boschi».
Resta, però, la fotografia di un grande disorientamento. Tutti si guardano in giro, perché ancora non sanno che epilogo avrà quella roulette russa che sono le prossime elezioni. A molti è rimasto impressa nella mente l'immagine del calore con cui l'altro giorno alla cerimonia degli auguri natalizi al Quirinale l'ex premier, Mario Monti, ha salutato il candidato dei grillini, Luigi Di Maio.
Per non parlare del riscontro che i ragionamenti di Renzi, trovano nelle parole di una delle teste d'uovo di Bersani, Alfredo D'Attorre: «Se vince il centrodestra governerà, ma se avranno un successo i grillini punteremo su un'alleanza tra noi e loro che coinvolga anche il Pd. L'unico ostacolo sarà il segretario pro-tempore del Pd». Tutti segnali che consigliano prudenza anche al Cav.
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