Fascinoso e inquietante insieme, segna il nostro tempo. Torna di moda quando cresce la paura, quando la guerra è a un tiro di schioppo. A sdoganarlo, nella seconda metà del secolo scorso, sono stati i miliardari che lo elevarono a status symbol. Il bunker da Guerra fredda si fece privato, elegante e incastonato nel giardino di casa: non più il rifugio di soldati nei campi di battaglia ma neppure la cantina sporca, umida e collettiva di quartiere del secondo conflitto mondiale.
Ora si assiste ad un nuovo cambio di pelle del bunker: la sua (relativa) «democratizzazione». Negli annunci immobiliari si susseguono: diventano pertinenze, proprietà accessorie all'abitazione, necessità familiari. Non puoi più farne a meno. Come fosse un garage. «Villa con bunker», persino «palazzo con bunker condominiale», oltre a rifugi singoli messi in vendita nelle viscere di campagne isolate. Come può una gabbia in cemento armato senza un buco sul mondo esterno né un filo di luce diventare bene indispensabile? «Siamo entrati nell'epoca della solitudine del cittadino globale - spiega Massimiliano Panarari, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi all'Università di Modena e Reggio Emilia - della liquidità della nostra esistenza, della paura individualizzata». E della società plasmata dai conflitti, che siano bellici o sociali. Gli ultimissimi anni ne disegnano il climax: nel 2020 fu la corsa alla pasta con l'esplosione della pandemia, nel 2022 il boom di richieste di iodio in farmacia dopo l'avvio della guerra in Ucraina. E oggi - con due anni di conflitto alle porte dell'Europa e una nuova escalation in Medio Oriente - scoppia la bunker-mania.
La sua massima espressione si fa materia da spot in Franciacorta: è sulle colline della preziosa terra dei vini che dovrebbe presto nascere il primo «bunker village italiano». Il titolo esotico contrasta con l'immaginario di devastazione richiamato dall'aspra parola inglese, ma tant'è. Su un lotto di 2700 metri quadri, tra vigneti e boschi, verranno infatti realizzati otto rifugi scavati a cinque metri di profondità. Vi potranno trovare rifugio fino a cinque persone, protette da pareti in cemento armato spesse 60 centimetri, da porte blindate di una tonnellata e da valvole anti-scoppio.
L'azienda bresciana incaricata di costruire il primo villaggio-bunker in Italia fa sapere di voler attenersi strettamente alle normative in vigore da anni in Svizzera (dove per legge ogni cittadino deve possedere un rifugio anti-bomba vicino casa). Così, se il nord Italia dovesse trasformarsi in teatro di guerra, i fortunati potranno abitare quei 75 metri quadri sottoterra - con l'inferno sopra le loro teste.
I rendering restituiscono le immagini di piccoli appartamenti moderni dotati di ogni comfort: televisioni, elettrodomestici, arredamenti e quadri. Se non fosse per gli infissi sembrerebbe una casa qualsiasi. E invece no: c'è l'uscita secondaria con sportello ermetico, il magazzino adibito alla conservazione del cibo a lunga durata, la riserva d'acqua potabile con capacità di migliaia di litri, l'impianto di filtrazione dell'aria capace di neutralizzare qualsiasi particella o radiazione proveniente dall'esterno. Il costo? A partire da 180mila euro. Altro che seconde case, altro che residence al lago o in montagna: eccolo il segno dei tempi, l'epoca dell'emergenza. «Sempre più persone - si motiva in effetti nella réclame, affidata a Tecnocasa - si preoccupano per un possibile inasprimento dei conflitti in corso su scala globale e cercano misure di sicurezza straordinarie che possano garantire la protezione delle proprie famiglie, piuttosto che preoccuparsi di orpelli decorativi come un giardino o una piscina». Al momento il progetto c'è, il terreno pure, manca solo il via ai lavori. Ma intanto sono arrivate le prime richieste: si-salvi-chi-può.
Pare di assistere al prologo di Fallout, la serie tv americana che racconta un XXI secolo distopico, dove il progresso della tecnologia nucleare ha portato ad una società retrofuturistica in un mondo ancora diviso tra Stati Uniti e il blocco comunista costituito da Cina e Unione Sovietica. Distopico, ma fino a un certo punto. Quando nel 2077 esplode la guerra nucleare solo alcuni sopravvissuti in Nord America riescono a rifugiarsi nei Vault, i rifugi antiatomici costruiti per preservare l'umanità in caso di sterminio. A questa storia hanno pensato in molti, di fronte a certi annunci immobiliari.
Ma il caso della Franciacorta non è l'unico: ad un residence con «protezione personale» per ogni abitazione si lavora anche nel Veronese. Proprio a pochi chilometri dal bunker «West Star», fino al 2007 il più grande d'Italia, che per tutta la Guerra fredda ospitò la sede protetta del comando Nato per diramare gli ordini militari all'Occidente. Coincidenze. In Toscana, invece, crescono le domande e offerte di villa con bunker tra cipressi e colline; a Milano - dove ad oggi fino a 1.500 persone possono essere ospitate nei rifugi antiatomici della città - si inizia a costruire e a vendere interi condomini con fortezze blindate sottoterra. Il maggior numero di bunker già costruiti si concentra proprio in Lombardia tra Crema, Pavia, Lodi e l'area sud del capoluogo meneghino. Molti rappresentano l'ultima eredità della Guerra fredda. «La formidabile narrazione dell'Unione Europea quale strumento di azzeramento dei conflitti è entrata in crisi rivelando la difficoltà delle nostre istituzioni nel calmierare i conflitti - continua Panarari -.
Tutto ciò si traduce in una paura individuale ancora più significativa. E se prima liquidavamo tutto come eccentrico, ora siamo di fronte a qualcosa di concreto».
Che fine farebbero tutti gli altri, se la sopravvivenza è legata alle possibilità economiche? Secondo lo Stato Maggiore della Difesa, in Italia non esistono bunker anti-atomici pubblici, ma da Nord a Sud il Paese ha le sue fondamenta scavate da centinaia di rifugi antiaerei costruiti negli anni 40. Nel peggiore degli scenari possibili, è lì che finirebbe il 90% della popolazione.
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