La produzione industriale ad aprile è cresciuta per il quinto mese consecutivo riportandosi sopra ai livelli precedenti l'inizio della pandemia. In particolare, l'indice ha messo a segno un rialzo mensile dell'1,8%, mentre su base tendenziale l'incremento è del 79,5 per cento. Il dato è «falsato» dal confronto con aprile 2020 nel quale la maggior parte delle attività industriali era in lockdown. Molto più significativo l'andamento mensile dei singoli comparti che rispetto a marzo segnano tutti una crescita: variazioni positive caratterizzano i beni strumentali (+3,1%), l'energia (+2,4%), i beni intermedi (+1,1%) e i beni di consumo (+0,5%).
Secondo Paolo Mameli, senior economist di Intesa Sanpaolo (che ha rivisto al rialzo le stime di crescita del Pil 2021 al +4,6%), «si rafforzano le prospettive di ripresa, che nei prossimi mesi verrà non solo dall'industria ma, in misura crescente, dai servizi». In un simile contesto macroeconomico resta da chiedersi se un provvedimento come la proroga del blocco dei licenziamenti possa avere efficacia visti i segnali di ripresa. Di parere contrario il segretario confederale Cgil, Emilio Miceli, che ha sottolineato come «nonostante sia in importante crescita la produzione industriale nel settore del tessile e dell'abbigliamento, va considerato che in quel settore la situazione complessiva rimane ancora molto pesante; così come restano le incertezze sulla chimica di base, sulla siderurgia, sull'automotive». Di qui la richiesta di moratoria dello stop ai tagli occupazionali in scadenza il 30 giugno. Un appello che il Pd ha fatto proprio presentando due emendamenti al dl Sostegni bis. Il primo prevede la proroga di 15 settimana della cassa Covid per tessile, pelletteria e calzaturiero con conseguente divieto di licenziamento. Il secondo prevede l'estensione del blocco al 30 settembre per settori in crisi individuati da governo e sindacati.
Una soluzione criticata dal giuslavorista Michele Tiraboschi. «Oggi il vero tema è capire quali sono i settori che possono generare maggiore occupazione, quali competenze e professionalità servono al mercato», ha dichiarato ad Askanews precisando che «questa è la stagione per utilizzare gli strumenti che già ci sono, non per costruire ex novo un nuovo modello sociale, riformando gli ammortizzatori». Insomma, servirebbe sbloccare il mercato usando le tutele che già ci sono e rafforzando i percorsi qualificanti.
La cautela dovrebbe essere obbligatoria perché la ripresa potrebbe essere rallentata dall'inflazione delle materie prime. Secondo una recente stima di Confartigianato i rincari delle commodities potrebbero tradursi in un aggravio di costi di 19,2 miliardi per le pmi italiane. Il +88% del ferro mette a rischio il rilancio del comparto edilizio come denunciato in più occasioni dal presidente dell'Ance, Gabriele Buia. Il prezzo del petrolio, che ormai si attesta ai 70 dollari al barile, sta creando un ulteriore svantaggio competitivo al sistema Italia.
Come spiegato da Federmeccanica nell'indagine congiunturale, il 54% delle imprese metalmeccaniche sta accusando difficoltà negli approvvigionamenti, mentre il 60% sarà costretta ad aumentare i prezzi di vendita riducendo contestualmente i margini di profitto. Anche se i dati Istat inducono all'ottimismo, è ancora troppo presto per cantare vittoria.
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