Per Enrico Letta paladino dello «ius soli» deve essere stato un altro colpo al cuore. A fargli rischiare il coccolone ci sta pensando, anche stavolta, la premier danese Mette Frederiksen sua «compagna» di schieramento sui banchi del Parlamento europeo. Ieri, come previsto, il Parlamento di Copenaghen ha approvato con 70 voti contro 24 la nuova legge sull'immigrazione voluta dalla sinistra socialdemocratica. La legge - applaudita da Matteo Salvini, ma deplorata dalle Nazioni Unite, dalle organizzazioni umanitarie e dalla stessa Ue - prevede l'istituzione di campi extra-europei dove segregare i richiedenti asilo in attesa di risposta da parte delle istituzioni danesi. Una procedura al cui confronto quella imposta, a suo tempo, dal «cattivissimo» Donald Trump era rose fiori. Mentre l'ex presidente statunitense si limitava a far attendere il responso sull'accoglienza nei campi in Messico i social-democratici danesi esigono, in piena sintonia con l'opposizione di centro destra, che l'attesa avvenga in un paese africano. E a render il tutto più paradossale s'aggiunge il ruolo giocato dal ministro dell'immigrazione Mattias Tesfaye, un socialdemocratico figlio di immigrati etiopi. Ad aprile Tesfaye era stato avvistato in Rwanda dove, nel corso di una visita destinata a restar segreta, aveva avviato trattative con il governo di Kigali per l'apertura dei discussi centri di detenzione. Nelle settimane successive lo stesso Tesfaye ammise di aver «identificato una manciata di paesi» con cui discutere il progetto pur precisando che si sarebbe trattato di centri «in linea con gli obblighi internazionali». Ieri, comunque, i portavoce del governo socialdemocratico ammettevano senza troppi problemi che la legge punta a scoraggiare i richiedenti asilo pronti a bussare alle porte di Copenaghen. «D'ora in poi se richiedi l'asilo in Danimarca sai che verrai mandato in un paese extra-europeo. Quindi speriamo- spiegava Rasmus Stoklund portavoce del governo sull'immigrazione - che le persone rinuncino a cercare accoglienza in Danimarca». Il primo stop alla nuova legge danese è arrivato dalle istituzioni europee. «L'esternalizzazione delle procedure di asilo solleva questioni fondamentali riguardo l'accesso alle procedure di asilo e alla protezione internazionale. Una simile proposta non è in linea con le attuali regole della Ue nè con le proposte del nuovo patto per le migrazioni o l'asilo» - ha avvertito Adalbert Jahnz portavoce della Commissione Ue. La creazione di campi di attesa in paesi terzi per i richiedenti asilo era stata bocciata in sede di Consiglio Europeo nel 2018 quando una bozza di proposta era stata studiata dal governo austriaco d'intesa con quello giallo-verde guidato da Conte-Salvini-Di Maio e dai paesi dell'est del gruppo di Visegrad. E infatti, ieri, Matteo Salvini non ha esitato ad applaudire la scelta danese. «Bene ha fatto la Danimarca, governata dalla sinistra - ha detto il leader della Lega - ad approvare una legge per aprire centri di accoglienza in Paesi terzi. Dopo i respingimenti spagnoli e le frontiere chiuse della Francia, un altro governo europeo ci dà lezioni. Invitiamo il Viminale a prendere nota». Insomma al mal di cuore di Letta è destinato ad aggiungersi quello del Consiglio Europeo.
Dopo aver rimandato alla seduta di fine giugno le discussioni sulla redistribuzione e sul ricollocamento avanzate da Mario Draghi il Consiglio Ue si ritroverà sul tavolo la drastica legge sulla segregazione extra- europea voluta dai «compagni» della tanto elogiata social-democrazia danese.
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