C'è il dogma della transizione energetica. E c'è poi la realtà dei tanti poveri disgraziati che non riescono a pagare le bollette sempre più care. «Ecco - afferma Chicco Testa, ex presidente Enel e parlamentare nel Pci-Pds fra l'87 e il '94, un'autorità in materia - non capisco perché la sinistra non stia dalla parte dei nuovi poveri che sono in grande difficoltà davanti ai costi crescenti della luce e del gas».
Al Parlamento Ue è scontro: i socialisti vogliono il passaggio all'elettrico entro il 2035, i popolari frenano.
«La transizione era stata pensata in un contesto diverso: la guerra ha cambiato tutto, soprattutto mi pare sia venuta meno l'equità che era considerata uno dei pilastri di questa rivoluzione».
Che cosa si dovrebbe fare?
«Nessuno contesta l'avvento dell'elettrico e sul fronte del riscaldamento la pompa di calore rappresenta il futuro».
Ma il presente?
«Appunto. Dobbiamo risolvere i problemi drammatici che strozzano migliaia e migliaia di persone, dobbiamo rivedere le tabelle, in modo meno rigido e più pragmatico, dovremmo considerare a fondo le possibili conseguenze di questa svolta».
Il conflitto fra Russia e Ucraina impone un ripensamento?
«Non possiamo impiccarci alle date. Milioni di persone annaspano e noi non possiamo dire loro che devono comprare l'auto elettrica o mettere la pompa di calore. Sono investimenti importanti, ancora di più per le famiglie dal perimetro finanziario molto stretto, e potrebbero dare un altro colpo ai bilanci già precari di molte persone. Servono pazienza e buonsenso».
Insomma, un pizzico di realismo in più?
«Sì, non possiamo innamorarci di una teoria, pure virtuosa. E dobbiamo considerare le questioni sul tappeto. L'equità ma non solo».
Cosa altro la preoccupa?
«Non credo che i Paesi dell'Africa e dell'Asia sposeranno subito l'elettrico. Chi darà loro le auto? Temo che questa fase di adattamento possa durare molti anni e l'Europa dovrà fare le sue scelte. Se investi sulle linee di produzione dell'elettrico, poi è molto difficile tenere in piedi stabilimenti che lavorano con metodologie tradizionali. Diventa tutto più complicato. E poi naturalmente c'è un'altra questione che a mio parere è stata sottovalutata: l'Europa non ha sull'elettrico la leadership tecnologica».
Possiamo correre per attrezzarci?
«Fino a un certo punto. Le batterie oggi si comprano in Cina o in America».
Si possono avviare fabbriche europee?
«Sì, ma tutto questo non si fa in un amen e ha un costo elevato. Inoltre il problema delle materie prime, a cominciare dal litio, non è superabile».
Potremmo sganciarci dalla Russia per dipendere dalla Cina?
«Non è un'opzione così improbabile e dobbiamo soppesare anche sul piano geopolitico quello cui andiamo incontro. La conversione all'elettrico sicuramente avvantaggia Pechino e anche questo elemento deve essere analizzato sulla bilancia dei nostri interessi. C'è davvero il rischio di dare una mano al regime cinese ma soprattutto non possiamo dimenticarci in questa fase delle famiglie il cui potere d'acquisto viene eroso dall'inflazione galoppante».
In conclusione, dobbiamo cercare un compromesso?
Sì, immaginare alcune deroghe o ipotizzare un altro calendario non vuol dire tradire l'avvio di una
nuova stagione che tutti vogliono. Vuol dire solo fare i conti con la realtà che è cambiata in questi mesi: spero che la sinistra se ne accorga e corra ai ripari invece di difendere in modo astratto schemi ormai superati».
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