Cecilia Sala e l'ipotesi della rappresaglia Pasdaran

Fermo legato all'arresto del 16 dicembre a Malpensa di un iraniano su richiesta Usa

Cecilia Sala e l'ipotesi della rappresaglia Pasdaran
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«Donne, vita, libertà» è lo slogan del movimento considerato la bestia nera degli ayatollah. Non solo Cecilia Sala è una donna, ma una giornalista, che non ha avuto peli sulla lingua con i suoi podcast dall'Iran, al 176° posto su 180 Paesi della lista nera della libertà di stampa di Reporter senza frontiere. E sullo sfondo della sua incarcerazione potrebbe esserci lo Stato nello Stato dei Guardiani della rivoluzione. In uno dei suoi podcast da Teheran aveva citato un anonimo comandante dei Pasdaran dicendo che il crollo della Siria di Assad è simile alla «caduta del muro di Berlino per l'Unione Sovietica». Il regime, se stizzito, avrebbe potuto revocarle il visto e rimandarla a casa, ma forse hanno deciso una «rappresaglia» per l'arresto di un iraniano all'aeroporto di Malpensa, il 16 dicembre, legato ai Guardiani della rivoluzione.

Le donne in Iran devono indossare l'hijab, il velo, e se non lo fanno in maniera corretta possono venire fermate dalla polizia religiosa. In realtà, soprattutto nelle grandi città come Teheran, il gentil sesso si copre il capo, spesso a metà, ma usa il trucco, anche se è tollerato solo in maniera moderata e indossa i jeans, a patto che non siano super attillati o le gonne non certo mini.

Per fortuna, a parte qualche tentativo fondamentalista, le donne hanno diritto all'istruzione, a differenza del vicino Afghanistan talebano. L'Iran è uno dei Paesi con i più alti tassi di alfabetizzazione femminile al mondo, ma le donne hanno sempre meno diritti degli uomini. Imposizioni e discriminazioni riguardano matrimonio, divorzio, eredità e decisioni sui figli. In base al codice civile il marito può imporre alla donna di non fare determinati lavori contrari ai «valori familiari». E in base alla legge una donna sposata non può ottenere un passaporto o viaggiare all'estero senza il permesso scritto del coniuge. Lo slogan «Jin, Jîyan, Azadî» («Donna, vita, libertà») è nato nel settembre del 2022 quando l'Iran è stato percorso da una rivolta di piazza in seguito alla morte di Masha Amini, la giovane curda arrestata perchè non disossava correttamente il velo. Il nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, che ha battuto il candidato dei falchi, aveva promesso un'inusuale apertura sui diritti femminili, ma nulla è cambiato. La questione del velo rimane nelle mani del leader supremo, l'ayatollah Alì Khamenei e del Consiglio dei guardiani. Dietro le sbarre entra ed esce a intermittenza, per motivi di salute, la premio Nobel, Narges Mohammadi, che fino ai primi di dicembre era detenuta nel carcere di Evin a Teheran dove è rinchiusa Cecilia Sala. Verishe Moradi, Pakshan Azizi e Zeinab Jalalian sono attiviste e femministe curde condannate a morte per «ribellione armata», accusa infondata secondo la difesa. Il numero delle esecuzioni capitali è esploso dalla rivolta del 2022 con 834 sentenze lo scorso anno (+43%) alle spalle di Cina e Arabia Saudita. E neppure le donne sono esenti da violenze e tortura dietro le sbarre.

Dalla protesta «Donna, vita, libertà» sono stati arrestati 79 giornalisti (34 solo nella prima metà del 2024) e talvolta chi ha la cittadinanza doppia come l'americano-iraniano, Reza Valizadeh, condannato a 10 anni, è merce di scambio. Non è escluso che Sala possa essere finita in una specie di «rappresaglia» per l'arresto il 16 dicembre a Malpensa di Mohammad Abedini-Najafabadi su richiesta Usa. L'iraniano è accusato di «cospirazione per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Usa all'Iran» in violazione alle sanzioni.

Tecnologia per droni dei Pasdaran che avrebbero ucciso soldati Usa in Giordania. Teheran ha protestato bollando le accuse come infondate e convocando il nostro incaricato d'affari. Pochi giorni dopo la giornalista italiana è stata arrestata a Teheran.

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