All'indomani del vertice di Liverpool, nel corso del quale i ministri degli Esteri dei Paesi del G7 avevano attaccato «i nemici della libertà» puntando il dito contro Cina e Russia, Pechino contrattacca. Lo stile è quello, tipico e ben noto a chi l'ha conosciuta all'epoca dell'Urss, della propaganda da guerra fredda. Proprio come allora faceva il Cremlino, i portavoce della Cina comunista rivolgono ai loro nemici quella stessa accusa, indossando i panni dei costruttori di pace. Il G7, accusa Pechino, infanga l'immagine della Cina, s'immischia nei suoi affari interni (il riferimento è a Taiwan) e punta a dividere il mondo. Dovrebbe invece dismettere «i toni da guerra fredda e fare qualcosa per risolvere i problemi internazionali in spirito di condivisione». Ognuno di questi concetti è l'espressione di una linea precisa indicata dal leader cinese Xi Jinping per affermare nel mondo il ruolo di un Paese che aspira in realtà a prendere il posto degli attuali egemoni, gli Stati Uniti.
In sintonia con il presidente americano Joe Biden, che una settimana fa aveva organizzato un vertice virtuale a livello mondiale delle democrazie, le maggiori potenze dell'Occidente avevano rivolto dall'Inghilterra critiche assai dure non solo alla Russia, denunciando le sue intenzioni aggressive contro l'Ucraina mascherate goffamente da «diritto all'autodifesa», ma anche se non soprattutto alla Cina. Pechino veniva accusata di repressione crescente dei diritti umani (soprattutto a Hong Kong e nello Xinjiang), di comportamenti commerciali scorretti in barba alle regole vigenti e di preparare un'aggressione militare a Taiwan, la piccola «anti-Cina» filoccidentale. La dura reazione ufficiale di Pechino è ispirata alla linea ufficiale secondo cui l'Occidente vuole tornare alla guerra fredda per mantenere la sua egemonia nel mondo, mentre la Cina intenderebbe costruire una nuova era nelle relazioni internazionali, basata non sulla sostituzione dell'egemonia americana con la propria, ma sulla realizzazione di nuovi equilibri in cui la voce dei piccoli Paesi trovi finalmente peso ed ascolto.
Si tratta di propaganda. Accusare gli oppositori stranieri di avere una forma mentale da guerra fredda è infatti uno degli strumenti retorici preferiti dallo Stato-Partito cinese. Ogni critica alla Cina comunista viene liquidata in base a questa formuletta, buona per tutte le occasioni. In realtà, la dirigenza del Pcc è immersa completamente nella mentalità da guerra fredda, e il suo principale pensiero è la sopravvivenza del regime, ammaestrata dallo scioccante tracollo dell'Unione Sovietica ai tempi di Gorbaciov: Xi già da anni ripete ai quadri del Partito che è «necessario prepararsi a un conflitto di lungo termine con il capitalismo occidentale» e non si stanca di ripetere gli errori da non commettere, primo fra tutti l'abbandono della linea leninista, sia pur aggiornata alle esigenze di un mondo cambiato.
Xi ha bisogno di alleati e ha ormai da tempo trovato il principale nella Russia. Vedrà (virtualmente) Vladimir Putin domani, per stringere ulteriormente rapporti di collaborazione che non fanno che cristallizzare, contro ogni slogan in senso contrario, nuovi schieramenti da guerra (per il momento) fredda.
E intanto si gode le divisioni tra Paesi dell'Ue sul boicottaggio diplomatico delle imminenti Olimpiadi invernali di Pechino: la Germania, in particolare, non intende seguire l'esempio americano. Merkel o non Merkel, il mercato cinese fa troppo gola.
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