Un Paese arretrato, vecchio nei suoi gangli vitali, incapace di progettare un ponte sul futuro. Non sarà facile per l'Italia il traghettamento dall'era pandemica a quella post-Covid. Ci arriveremo impreparati, col nostro carico di fragilità e di vizi cronici messi a nudo dal World Economic Forum nell'ultimo studio sulla competitività globale. Brutti voti sparsi qua e là, una pagella da ripetenti che colloca l'ex Belpaese sul gradino più basso tra i principali Paesi industrializzati. Neppure il governatore di Bankitalia, Vincenzo Visco, sembra in vena d'ottimismo: «Il Pil italiano non recupererà il livello registrato alla vigilia dello scoppio del coronavirus prima della seconda metà del 2023».
L'analisi di Visco dedicata ai ritardi tricolori è identica a quella del World Economic Forum, segno di deficit solari: carenza di digitalizzazione in un momento in cui i lockdown richiedevano competenze in materia per proteggere l'economia; poca spinta verso l'innovazione, soprattutto in ricerca e sviluppo; un tessuto d'imprese perlopiù piccole. Con dimensioni uguali a quelle tedesche, sottolinea il numero uno di via Nazionale, «la produttività media del lavoro sarebbe superiore di oltre il 20%, superando anche il livello della Germania». Ma chi ha vissuto sulla propria pelle l'arrivo a singhiozzo dei contributi per la cassa integrazione e l'aiuto irrisorio dei ristori avrà invidiato le strutture di welfare più robuste di Danimarca, Finlandia, Norvegia, Austria, Singapore e Svizzera, capaci di garantire la giusta protezione grazie a un potere di spesa superiore al nostro. Altro punto dolente, la debolezza del sistema finanziario. È l'anello mancante, perfettamente saldato alla struttura economica negli Usa, Arabia Saudita e Finlandia, necessario per dar sostegno alle piccole e medie imprese. Nè va meglio sul versante della tassazione: servirebbe una struttura fiscale progressiva, uno dei fattori chiave della trasformazione economica. Male anche gli incentivi agli investimenti in R&S, l'aggiornamento dei programmi scolastici, gli investimenti nelle competenze del futuro, l'ampliamento delle strutture per l'infanzia e gli anziani.
Risultato: l'Italia è in ritardo rispetto alla media su 9 degli 11 fattori indicati come prioritari per i prossimi 5 anni per rimettere in moto l'economia. Per colmare questi ritardi forse non basterà neppure la montagna di quattrini del Recovery Fund.
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