Campioni d'Europa anche nel consumo di frutta. L'Italia è un vero giardino dei ciliegi, un posto delle fragole e gli italiani amano la frutta più dei macedoni, ma anche di francesi e tedeschi. Siamo i consumatori più voraci: consumiamo tra frutta e verdura 160 chili a testa all'anno (contro i 109 kg dei tedeschi o i 101 dei britannici) spendendo 1.300 euro, con un aumento di quasi un miliardo di chili nell'ultimo decennio. E più di otto italiani su dieci mangiano almeno una porzione di frutta o verdura al giorno. Sono i numeri rilasciati da Coldiretti in occasione del Macfrut di Rimini, il più grande salone della frutta e verdura Made in Italy.
Il Covid e le nuove esigenze di salubrità hanno sicuramente spinto i consumi, ma anche le nuove generazioni, attirate dalla fotogenicità, dalla dolcezza e dal colore spesso brillante di questo alimento, spesso declinato in frullati, smoothies, frappé e centrifugati, anzi estratti (pressati, non stressati è la nuova regola di un James Bond fruttariano e salutista, che prima o poi, vedrete, arriverà sugli schermi). Per questo su Instagram gli scatti spopolano.
Certo magari cambiano le abitudini, la frutta si mangia non più a fine pasto che fa un po' cafone ed è sconsigliatissimo dai nutrizionisti, ma si preferisce la mattina a colazione o come snack a merenda, un abitudine che chissà perché ultimamente piace più agli adulti che ai bambini. Quel che è certo è che affondare i denti in una sugosa polpa colorata sembra essere uno degli ultimi piaceri consentiti e anzi consigliati - che ci rimane.
C'è però un ma. In tanto fruttifico entusiasmo a scarseggiare è la fantasia, e l'offerta pure. Insomma, frutta ne mangiamo sempre di più, ma sempre la stessa. Questione di comodità: chi ha voglia di sbucciare una grondante e sugosa pera quando abbiamo a disposizione una comoda banana? E l'uva con i semi quando potrebbe non averne?
In cima alle classifiche ma anche nei banchi del supermercato - troviamo i soliti noti: mele, arance, banane, angurie, pesche, clementine, meloni e uva. A causa dell'agricoltura intensiva e delle logiche della distribuzione commerciale, che privilegiano produttività, grandi quantità e standardizzazione dell'offerta, nell'ultimo secolo in Italia sono scomparse tre varietà di frutta su quattro: se ne coltivavano 8mila tipologie, oggi si arriva a meno di 2mila e di queste 1.500 rischiano di scomparire.
È un peccato perché oltre ad essere spesso ricche di vitamina C e antiossidanti, sono parte della nostra storia e cultura, gastronomica e non solo. Pensiamo alla carruba, il cacao del poveri, che veniva venduta dai carretti agli angoli delle strade. Oppure alla cotogna, già nota agli antichi romani che ne facevano una bevanda con miele. Le more di gelso, bianche e rosse, oltre a essere protagoniste della leggenda di Piramo e Tisbe di Ovidio facevano parte del paesaggio della Pianura Padana quando si allevavano i bachi da seta, che mangiano solo foglie di gelso. Ma pure il corbezzolo, che non ha solo la proprietà di avere ingentilito un'esclamazione un po' scurrile, e la corniola, ottime per salse e marmellate, spesso adornavano i giardini e gli orti dei nostri nonni e bisnonni.
Incuriositi? Per voi c'è un libro di Morello Pecchioli, «I frutti dimenticati», che vi porta in un viaggio a ritroso nel tempo tra sorbi e pere mandorline, biricoccole e mirabolani.
E il secondo e terzo fine settimana di ottobre a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, da trent'anni si tiene la Festa dei Frutti Dimenticati. Dove gli appassionati, tra azzeruole, pere volpine e broccoline, mele rugginose e gelate, non possono che finire in un brodo di giuggiole.
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