Roma - L'Italia resta in deflazione. Cioè, i prezzi scendono anziché aumentare (fenomeno fotografato dall'inflazione). E visto che l'indice dei prezzi al consumo è il termometro di una congiuntura, è come se l'economia nazionale avesse 35° di temperatura. Uno stato di salute debilitato: come il Pil.
Secondo l'Istat, a marzo i prezzi al consumo sono diminuiti su base annua dello 0,2%, dopo lo 0,3% di febbraio. Ed il fenomeno si sta gradualmente estendendo ad un numero sempre maggiore di città: erano 20 a febbraio, sono 22 a marzo. I ribassi più accentuati si registrano a Bari e Potenza, dove i prezzi sono diminuiti dell'1% su base annua. A Roma la contrazione è stata dello 0,5, a Firenze dello 0,4, a Napoli e Milano dello 0,1%. In calo anche a Verona (0,9), a Reggio Calabria (0,7), a Perugia, Cagliari, Catanzaro (0,6).
A condizionare il calo dei prezzi - dice l'Istat - l'andamento dei prodotti petroliferi; anche se, sempre l'istituto di statistica, ricorda che nell'ultimo mese il prezzo del gasolio è salito del 2,5% e quello della benzina dello 0,2%.
Il fenomeno della deflazione, pertanto prosegue anche in febbraio nonostante lo shock monetario introdotto dalla Banca centrale europea. E finirà per condizionare negativamente anche la dinamica dei conti pubblici.
Pier Carlo Padoan riconosce che le stime di crescita del Fondo monetario internazionale sono diverse da quelle italiane. «Vedremo chi avrà ragione - commenta il ministro dell'Economia - Noi abbiamo un tasso di errore molto basso sulle nostre previsioni».
In particolare, il ministro fa riferimento al dato sulla crescita. Secondo l'Fmi quest'anno l'Italia crescerà soltanto dell'1%; mentre il governo ha stimato l'aumento del Pil nell'1,2% reale e del 2,2% nominale. E qui vengono i problemi. Nel Documento di economia e finanza, il ministero ricorda didascalicamente che nel 2015 il Pil nominale è cresciuto dell'1,5%. Cioè, l'economia reale è aumentata dello 0,8% e il deflattore al Pil (indicatore fratello dell'inflazione: nei rispettivi panieri cambiano solo alcune voci) dello 0,7%.
Per il 2016 però, la situazione si complica. Sempre nel Def, il governo scrive che prevede per quest'anno un Pil nominale del 2,2%; con un Pil reale in crescita dell'1,2%. Ne consegue che nei calcoli del ministero dell'Economia il deflattore al Pil dovrebbe crescere dell'1%. Come dice l'Istat, però, nel 2016 i prezzi al consumo non solo non cresceranno; ma, al momento, diminuiscono dello 0,2%. Andamento analogo lo seguirà anche il deflattore al Pil. Ne consegue che, in assenza di inflazione (anzi, con prezzi in discesa), anche il dato del Pil reale verrà intaccato da quello della deflazione. Con il rischio che si avvicinerà esattamente a quello indicato dal Fondo monetario internazionale.
Ma al di là della diatriba fra economisti (le mie previsioni sono più azzeccate delle tue), il dato sulla discesa dei prezzi, condizionando il Pil, rischia di avere ripercussioni negative sui conti pubblici. In prima battuta, su deficit e debito.
E a quel punto non diventa più una diatriba fra economisti, ma un dato politico sul quale si dovrà pronunciare anche Matteo Renzi. Anche perché al quadro generale si aggiunge il dato Eurostat di ieri che assegna all'Italia il record di poveri Ue: 7 milioni, il doppio della Germania e 3 volte la Francia.
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