"L'Italia resti in Libano e l'Europa alzi la voce. Ma non credo alla pace"

L'esperto: "Tel Aviv ha diritto a difendersi però è surreale che chieda il ritiro all'Onu"

"L'Italia resti in Libano e l'Europa alzi la voce. Ma non credo alla pace"
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Andrea Margelletti è il Presidente del Centro Studi Internazionali. Consigliere del Ministro della Difesa nei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Ma anche dei governi Conte II, Draghi e del governo Meloni.

Presidente, l'Italia deve restare in Libano o è bene che ritiri i suoi soldati?

«La decisione spetta all'Onu. Il Libano è un paese fondamentale per l'Italia. È importante che l'Italia non si faccia intimidire da nessuno. Né da nazioni né da realtà non statuali. Credo che al momento la decisione giusta sia quella di rimanere, per mostrare il volto della legalità».

Netanyahu chiede all'Onu di ritirarsi.

«Ormai siamo nel mondo surreale. Una delle nazioni importanti delle Nazioni Unite chiede alle Nazioni Unite di allontanarsi».

Il ministro Crosetto ha chiesto se il contingente Onu, se attaccato dall'Idf, non debba rispondere al fuoco. Lei cosa pensa?

«In ogni regola di ingaggio esiste il diritto all'autodifesa. Non esiste una missione nella quale qualcuno ti può sparare addosso e tu non puoi rispondere e uccidere l'aggressore».

La missione Unifil è fallita?

«No. Ha fatto quello che gli è stato chiesto di fare. Il problema è che parlano della missione Unifil persone che non sanno di cosa stanno parlando. La missione 1701 non aveva il ruolo di imporre la distruzione delle rampe degli Hezbollah. Come non aveva il compito di abbattere gli aerei israeliani che attaccano il Libano. La missione era: osservare e riferire. Ha fatto quello che doveva fare».

Un attacco di Israele diretto al Libano va considerato un'azione di autodifesa o un atto di aggressione a uno stato indipendente?

«In questi due anni di continua crisi, dall'Ucraina al Medio Oriente, stiamo imparando che il diritto internazionale più che rispettarlo lo dobbiamo interpretare. Le linee di confine sono molto flebili. Il problema è questo: Israele ha diritto all'autodifesa come tutti gli Stati. Non ha più diritti degli altri Stati. E può esercitare questo diritto rispettando anche i doveri che hanno tutte le nazioni. In questo momento sta colpendo uno stato sovrano che è il Libano».

Quanto è forte l'esercito degli Hezbollah, e quanto è pericoloso?

«Dal punto di vista della forza, enormemente inferiore a quella di uno Stato. Il problema è quanto è in grado di fare sanguinare Israele. Quali sono i limiti di Israele? Due: Israele, Stato democratico, ha il rispetto delle vite umane. Non ha il mito del martirio. L'altro limite è che gli israeliani sono pochi. Far cadere cento israeliani è una cosa completamente diversa - sia dal punto di vista militare che psicologico - dal far cadere cento Hezbollah».

Crosetto ha detto che l'attacco all'Onu si potrebbe configurare come crimine di guerra. Esagera?

«L'attacco è una violazione palese del diritto umanitario internazionale. Quindi di una gravità unica. C'è un paradosso: stiamo vedendo che le Nazioni Unite devono difendersi dall'attacco di uno stato democratico e non da un gruppo terroristico».

Che possibilità ci sono di un negoziato e di un cessate il fuoco, sui fronti Libano o Gaza?

«Ci credo molto poco. Israele in questo momento ha la possibilità di provare a chiudere molti conti antichi».

La forza di Hamas è stata ridimensionata in modo significativo in quest'anno di guerra?

«Serissimamente ridimensionata. Ma la distruzione di buona parte di Gaza e l'uccisione di migliaia di civili ha creato una situazione per la quale nei prossimi decenni non troveremo mai un palestinese che non sia pronto a uccidere un israeliano o un ebreo alla prima occasione».

C'è il rischio di un attacco diretto di Israele all'Iran? Quali ne sarebbero le conseguenze?

«Un attacco alle infrastrutture petrolifere è possibile. Un blitz. Un attacco ai centri missilistici, è molto più complesso: non credo Israele possa permetterselo in questo momento».

Israele ha possibilità di vincere definitivamente la guerra?

«Militarmente sì. Ma la vittoria militare potrebbe portare a una sconfitta politica. Cioè una condanna a vivere per secoli in una situazione di ostilità costante».

L'Europa può fare qualcosa?

«Dovrebbe. Ma abbiamo passato gli ultimi vent'anni a demolire l'idea di Europa unita. In questa situazione il paese che dovrebbe essere più coinvolto è proprio l'Italia».

Perché?

«Il grano ucraino è fondamentale per noi.

E la crisi del grano incide anche sui flussi dell'immigrazione. Il petrolio mediorientale per noi è vita. Il terrorismo ha come primo approdo l'Italia. Perciò l'Italia dovrebbe porsi come protagonista. Non è in gioco il suo prestigio ma la difesa del suo stile di vita».

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