La falsa ripartenza

L'Italia riapre i battenti tra i costi della sicurezza e i dubbi dei negozianti. Tre serrande su dieci oggi restano abbassate

La falsa ripartenza

Quanto abbiamo aspettato questo giorno? Con un occhio ai contagi e l'altro al calendario, in attesa del decreto che ci liberasse dal lockdown. È la data che sembrava non arrivare mai, quella che ci restituisce un po' della nostra vita pre-Covid. L'inizio della vera fase due. Da oggi si riparte, con una colazione al bar se si vuole, una piazza con gli amici, una passeggiata per i negozi che riaprono. Senza autocertificazioni, ma con tutte quelle prescrizioni che da ora in poi faranno parte della nostra vita: mascherine, gel, prenotazioni e file per qualunque cosa. E soprattutto con le ansie che questa nuova normalità porta con sé. Non solo per l'eventualità che la ripartenza determini una nuova impennata delle infezioni e quindi nuovi stop, ma per i timori di tutti coloro - imprenditori, commercianti e ristoratori - che non sanno se ce la faranno a risollevare le tante attività messe in ginocchio dalle chiusure perché il virus ha lasciato sul campo danni economici pesanti.

Oggi sono oltre 800mila le attività commerciali che possono rialzare le saracinesche dopo una corsa contro il tempo per adeguarsi alle linee guida, spesso confuse e arrivate in ritardo. Ma non tutti ripartiranno. Secondo Confcommercio soltanto 7 su 10 tra bar e ristoranti sono pronti ad accogliere i clienti. Gli altri non apriranno perché con le condizioni di sicurezza previste dai protocolli sarebbero costretti a lavorare in perdita. Temono la rigidità delle linee guida, anche ora che sono state ridimensionate, e di non riuscire a sostenere i costi di gestione con il prevedibile calo dei ricavi. Perché oltre alla riduzione dei coperti nei ristoranti, è chiaro che anche i clienti di bar e negozi faranno fatica ad abituarsi alle nuove regole. La maggior parte di chi rimarrà chiuso ha paura di lavorare in condizioni antieconomiche, dovendo sostenere anche gli oneri degli adeguamenti, della nuova organizzazione del lavoro, delle sanificazioni. A spaventare è anche il tema delle eventuali responsabilità legali in caso di contagi sul posto di lavoro. C'è voglia di ripartire, ma la strada è in salita e il futuro fa paura. Secondo Confesercenti il 36% degli imprenditori teme di chiudere l'attività e un ulteriore 41% ritiene di essere a rischio in caso di nuove emergenze. Anche per chi sta in ufficio la fase due avrà bisogno di una riorganizzazione.

Finora chi ha potuto ha lavorato in smartworking, uno strumento reso attuabile in deroga alla disciplina legale ordinaria. Ora i datori di lavoro devono decidere se continuare con l'attività da remoto, come previsto nella pubblica amministrazione per il 30/40 per cento dei dipendenti, ed eventualmente ripensare agli accordi individuali.

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