La Russia ora attende la prossima mossa di Zar Vladimir. O, meglio, la zampata capace d'infliggere il colpo fatale ad un'Ucraina colpevole di aver flirtato con la Nato. Una zampata destinata a dilaniare il paese strappandogli buona parte dei suoi territori orientali o riducendolo, nell'ipotesi più estrema, ad un'enclave priva di sbocchi al mare. Un'avanzata militare in grado di garantire a Mosca l'annessione di tutte le coste del Mar Nero, fino ad Odessa ed oltre, resta ovviamente una mossa estrema. L'estensione della sovranità russa a Mariupol e ai restanti territori delle regioni (oblast) indipendentiste di Lugansk e Donetsk rappresenterebbe, invece, una conseguenza quasi naturale del riconoscimento dell'indipendenza firmato lunedì dal presidente russo. Non a caso il primo a mettere sul tavolo la questione dei «confini amministrativi delle due repubbliche» è il capo dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk Denis Pushilin.
Intervistato, ieri, dalla Tv «Russia-24» il leader filo-russo ricorda come i referendum del 2014 sull'indipendenza riguardassero non solo le zone controllate attualmente dai separatisti, ma l'intero territorio amministrativo occupato dai due «oblast». Un modo per far capire che l'intervento russo in «difesa» della popolazione russa delle due repubbliche dovrà inevitabilmente estendersi ai territori delle due regioni ancora controllati dall'esercito ucraino. Una questione non proprio di lana caprina. In base a quell'interpretazione le truppe di Mosca potrebbero avanzare fino alla città di Mariupol e inglobare una superficie che rappresenta il nove per cento dei territori dell'Ucraina e su cui vivono oltre sei milioni di persone. Sull'effettiva possibilità di un intervento «difensivo» esteso agli interi confini amministrati dei due «oblast» i vertici di Mosca mantengono, per ora, una sostanziale ambiguità.
Il vice ministro degli esteri Andrei Rudenko, ammette che il riconoscimento di Mosca potrebbe estendersi a tutto il territorio su cui la leadership separatista «esercita la sua autorità e giurisdizione» avvalorando, di fatto, l'ipotesi di uno scontro con le truppe di Kiev pronte a difendere quanto resta dei due «oblast». Un'ipotesi ridimensionata nelle ore successive dal portavoce del Cremlino Dmitri S. Peskov che ha parlato di un riconoscimento limitato ai confini «di quando queste due repubbliche sono state proclamate». Ma l'interpretazione di Peskov fa a pugni con le tesi di un Vladimir Putin pronto a sostenere, solo 24 ore prima, l'appartenenza storica e culturale dell'Ucraina alla madre patria russa ribadendo la teoria di paese creato per volere di Lenin «strappando territori alla Russia». Parole durissime che sembrano giustificare un intervento ben più ampio di quello indispensabile a garantire l'indipendenza dei territori separatisti. Anche perché la difesa di quelle regioni non giustificherebbe la perdita di legittimità internazionale e il costo in termini di sanzioni economiche affrontato da Putin. E non richiederebbe neppure la mobilitazione delle 140mila truppe mandate a circondare l'intera Ucraina. Anche per questo molti, qui in Russia, s'aspettano che la prossima mossa dello zar s'estenda ben aldilà dei due «oblast». Magari arrivando ad inglobare, alla fine dei giochi, l'intera costa orientale del Paese, fin oltre la città di Odessa. Una città, sottolineano fonti del Giornale, citata non a caso dal presidente russo quando, lunedì sera, ha promesso la punizione degli autori della «strage di Odessa» costata la vita, nel 2014, a 48 militanti filorussi intrappolati nel rogo della Casa dei Sindacati.
Una «punizione» estrema, ma capace di «restituire» alla Russia non solo l'intera costa del Mar Nero, ma anche tutti quegli insediamenti cuore, fin dai tempi dell'Unione Sovietica, della produzione industriale destinata a Mosca.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.