L'offerta di Pechino. "Noi mediatori". Xi e la partita a tre per l'egemonia

La Cina si propone come attore negoziale. Il leader asiatico lancia segnali a Trump e cerca di tutelare l'export del proprio Paese: l'asse con Putin non è sufficiente

L'offerta di Pechino. "Noi mediatori". Xi e la partita a tre per l'egemonia
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C'è chi la chiama ormai la nuova Yalta. E alla nuova Yalta vuole esserci anche la Cina. Nel 1945 Stalin affrontava un Occidente unito e coeso intorno ai valori della democrazia liberale. Questa volta Donald Trump, mollata al suo destino l'imbelle Europa, sembra volersi sedere al tavolo con i due dittatori globali, Vladimir Putin e Xi Jinping, ognuno proteso a perseguire il proprio sogno imperiale. Secondo un dettagliato retroscena del Wall Street Journal la Cina ha proposto che a decidere il destino dell'Ucraina siano Russia e Usa in un vertice in cui Pechino è pronta ad assumere il ruolo di pacificatore, magari fornendo le necessarie truppe di interposizione. Washington, senza confermare i dettagli, sembra per il momento aver respinto la proposta. Ma il primo quadro della politica trumpiana pare confermare la visione di un mondo da dividere tra i tre grandi, dopo l'abbandono di una visione multilaterale fondata su organizzazioni internazionali e appuntamenti aperti: «Al prossimo G20 di Johannesburg noi non ci saremo - ha detto il segretario di Stato Rubio - non siamo qui per sprecare i soldi dei contribuenti».

Per Putin è un sogno che si avvera, vedere riconosciuto il proprio ruolo di grande potenza. Per Xi un'interessante prospettiva strategica. I due, come il gatto e la volpe, all'apparenza vanno d'amore e d'accordo. Xi ha già detto che sarà a Mosca in maggio per la celebrazione degli 80 anni della vittoria nella «grande guerra patriottica». Da quando il leader cinese ha raggiunto il vertice del potere, a fine 2012, si sono visti personalmente almeno 40 volte. Appena prima del conflitto dichiararono tra i due Paesi «un'amicizia senza limiti». E nel corso del conflitto Pechino ha fatto quello che poteva per dare una mano agli amici ex sovietici. Con cautela e prudenza, naturalmente.

Perché la Cina ha un problema. A differenza di Mosca (che esporta solo gas e petrolio, «una stazione di rifornimento di benzina con uno Stato intorno» come disse il vecchio John McCain) Pechino è perfettamente integrata nelle catene di produzione dell'economia globale. Anzi, come dimostra l'enorme surplus commerciale, da queste catene l'economia è dipendente. Visto il ristagnare della domanda interna è solo l'export a sostenere la crescita. L'anno scorso ha raggiunto quota 5%: dal nostro punto di vista sembra un livello monstre, in realtà è meno della metà degli anni d'oro. Un livello appena sufficiente per sostenere la pressione demografica e gli squilibri della società cinese. Gli obiettivi della leadership comunista per il 2025 prevedono di nuovo una crescita del 5%. Ma c'è l'incognita dazi, e da questo punto di vista Trump rappresenta una minaccia: la riduzione sostanziale dell'interscambio con Washington finirebbe per peggiorare il problema dell'indebitamento di famiglie e imprese legate alla bolla immobiliare che ancora produce i suoi effetti.

Si spiega anche così il minuetto dei rapporti tra Pechino e Washington dopo l'elezione di Trump. Il neo-presidente ha detto in un primo tempo che avrebbe chiamato il suo collega cinese nel giro di 24 ore. Poi si è rimangiato la parola sottolineando che in realtà non c'era nessuna fretta. Da parte sua Pechino si è ben guardata dal farsi viva con il neo-eletto: per la formale diplomazia asiatica è troppo alto il rischio che, di fronte a un contrasto non appianato preliminarmente, una delle due parti perda la faccia.

Un negoziato sull'Ucraina sarebbe per Pechino l'occasione per avvicinare un po' alla volta il nuovo arrivato Trump.

Sui tempi lunghi ritengono di avere il coltello dalla parte del manico rispetto alle disfunzionali democrazie occidentali. Anche per questo non hanno fretta. Il prossimo traguardo è il 2049, con il centenario della presa del potere da parte del partito comunista. Per i festeggiamenti Xi ha un obiettivo: raggiungere l'egemonia globale.

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