Luciano Gulli
Distrarre l'opinione pubblica e recuperarne la disaffezione inventandosi un mostro che raspa alla porta di casa e che va abbattuto senza esitazioni. Tutti uniti contro il Grande Nemico Comune, relegando in secondo piano polemiche, scandali, sondaggi inclementi che testimoniano il raffreddamento di un elettorato umorale e instabile. È un gioco vecchio come il mondo mai passato di moda, come ora stanno riscoprendo anche Emmanuel Macron e Theresa May, oltre naturalmente al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. E la Russia del «perfido» Putin, quello che scatena le sue spie armate di gas nervino per stroncare i suoi oppositori (vedi il caso Skripal del marzo scorso) si presta alla perfezione a vestire i panni del capro espiatorio.
«Abbiamo la prova che sono state utilizzate armi chimiche in Siria da parte del regime», trilla appena vede un microfono il presidente francese, memore e latore di un'antica inimicizia francese per la Russia. «Il regime di Assad ha stabilito un modello di comportamento pericoloso in relazione all'uso di armi chimiche» gli fa eco la premier britannica Theresa May, tesa a ribadire la fedeltà atlantica con gli Stati Uniti, e pronta a dissotterrare l'ascia di guerra non appena l'alleato Number One di Downing Street dovesse decidere che è giunta l'ora di scatenare i missili.
Macron e la May contro la Merkel, che stecca nel coro, e il governo italiano, cauto fino alla svogliatezza manifesta, mentre il resto della Ue recita il ruolo del pesce in barile. Non è una fotografia edificante per la Ue, quella che ritrae l'atteggiamento dell'Europa - ancora una volta divisa e spaesata - di fronte alla chiamata alle armi suonata da un Trump che a sua volta, dopo la nerboruta presa di posizione della Russia, comincia a pensare che i Tomahawk potrebbero partire dopodomani, o fra una settimana, ma anche mai, tutto sommato.
Da una guerra vera, fatta di missili e bombe «molto intelligenti», si va così arretrando passin passetto verso una guerra di parole, di proclami, e di promesse a base di «punizioni esemplari». Due ore di discussioni per Theresa May in Parlamento, con l'opposizione feroce dei laburisti di Corbyn, per partorire la presa di posizione epocale secondo cui «l'impiego di armi chimiche non deve restare impunito». Una bella gragnuola di missili sulla Siria per rifilare una randellata sui denti di Putin, accusato di essere il mandante del tentato omicidio a base di gas nervino dell'ex spia russa Sergej Skripal e di sua figlia Yulia a Salisbury lo scorso marzo.
Sempre che l'impiego dei gas venga inoppugnabilmente provato, tuona Jeremy Corbyn, per evitare gli storici passi falsi di Tony Blair e di George Bush al tempo di Saddam Hussein, indicato come portatore insano di armi chimiche quando poi non si riuscì a trovare neanche un litro di roba fetente e mortale nel suo malandato e vetusto arsenale bellico.
Quanto all'ardore del presidente Trump, basta leggere con attenzione le cautelose dichiarazioni del suo segretario alla Difesa, l'ex generale James Mattis, per rendersi conto che l'ipotesi bellica va rapidamente tramontando. «Stiamo ancora cercando le prove concrete di un attacco chimico», ammette con un filo di desolazione nella voce di fronte al Congresso Mattis.
Anche perché non ci vuole un genio per capire - avverte l'ex generale, che a differenza del suo presidente sa com'è fatta la guerra - che un attacco contro Assad rischia di innescare un'escalation che potrebbe finire «fuori controllo», con l'incognita della risposta da parte della Russia e dell'Iran già in stato di allerta.Una delusione cocente, quella che si profila, per il presidente francese Macron e per miss May, che già si vedevano sul carro del vincitore.
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