L'ora della mediazione all'interno dei poli

È l'estate del "trasversalismo" politico, ma all'interno delle coalizioni ci sono ancora troppe divergenze

L'ora della mediazione all'interno dei poli
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C'è una caratteristica che contraddistingue quest'estate di anno bisestile ed è tutta racchiusa in una parola che ha un suono strano: «trasversalismo». Usata in politica sta ad indicare il dialogo, la convergenza, magari anche l'alleanza su singoli temi tra partiti che fanno parte di schieramenti opposti. Per essere più chiari l'incontro tra partiti che sono sul versante di destra con quelli posizionati sul versante di sinistra, e viceversa.

Breve cronaca del fenomeno. Sull'emergenza carceri la posizione di Forza Italia sotto il solleone è più assonante con quella dei centristi dell'altro versante, Renzi e Calenda, e del Pd. E stesso discorso vale anche per lo ius scholae. Se si passa alla guerra in Ucraina Matteo Salvini parla spesso lo stesso linguaggio di Giuseppe Conte (in fondo hanno fatto un governo insieme) e della sinistra di Fratoianni e Santoro, mentre Giorgia Meloni gira che ti rigira si ritrova sulle posizioni di buona parte del Pd.

Appunto Conte: il premier grillino sbuffa già solo all'idea di far parte dello stesso campo di Matteo Renzi, ma se uno dovesse analizzare le sue posizioni in politica estera sono simmetriche a quelle dell'altro Matteo perché entrambi aspettano Godot, pardon Donald Trump.

Ancora. Sull'Europa Forza Italia e il Pd spesso si intendono forse perché fanno parte della stessa maggioranza a Strasburgo. Matteo Salvini, invece, almeno a parole fa ragionamenti speculari a quelli dell'ex di Rifondazione comunista Marco Rizzo mentre la Meloni ha scelto una posizione mediana tra la Lega e Tajani. Sull'autonomia il campo largo in apparenza unito nella battaglia referendaria ha diversi dissidenti: Piero Fassino ha scritto una lettera a Elly Schlein pregandola di essere cauta («rischiamo di dividere il Paese») e sulla stessa linea sono due saggi del Pd, Enrico Morando e Giorgio Tonini: «La strada dell'Autonomia è meglio del centralismo». Del resto in un'estate in cui si vocifera di un pranzo in un ristorante di Trastevere all'inizio di luglio tra la premier e il direttore del giornale di riferimento del «contismo» può succedere di tutto. La notizia non trova conferma ma non sarebbe una sorpresa se poi a settembre la premier decidesse di salire sul palco della festa de Il Fatto.

Insomma, se uno dovesse prendere sul serio i discorsi estivi, allora non esisterebbe il «campo largo» e anche il centro-destra potrebbe apparire diroccato. In realtà non è così. La geografia politica resterà al 90% quella di oggi. O meglio tutto dipenderà dalla capacità di stare insieme di forze che hanno identità diverse e su molti temi non la pensano allo stesso modo. In fondo nulla di nuovo sotto il sole: è la natura delle coalizioni da che mondo è mondo. Solo che per restare insieme chi è al governo e chi, invece, aspira a sostituirlo alle prossime elezioni dovrà non solo distinguersi nell'attitudine dello scontro che è l'anima del populismo, ma anche nella virtù della mediazione. All'interno delle coalizioni dovranno non solo difendere le proprie ragioni ma anche imparare ad ascoltare quelle degli altri. «Presto o tardi nella vita politica - per citare Oscar Wilde - è obbligatorio il compromesso».

E questo vale ancor di più per un Paese sospeso tra due guerre e che sa bene che il principale alleato, gli Stati Uniti, è in bilico fino a novembre tra due

scelte completamente opposte. Per cui i due poli, se non vogliono scoppiare ancor prima di dar vita al nuovo bipolarismo italiano, dovranno ricercare testardamente un filo unitario. L'alternativa è solo il tunnel del Papeete.

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