I soliti ultras dell'accoglienza: applausi al piano Ue (senza averlo letto)

Bruxelles annuncia l'addio al trattato di Dublino. Conte già esulta. Ma il piano Ue è un mistero: applausi a scatola chiusa

I soliti ultras dell'accoglienza: applausi al piano Ue (senza averlo letto)

L’annuncio di Ursula von der Leyen è di quelli pensati appositamente per agenzie di stampa e giornali. E infatti quel “aboliremo il trattato di Dublino”, scagliato dalla presidente della Commissione europea durante il discorso sullo Stato (malandato) dell’Unione, ha subito scatenato le ovazioni dei vari M5S, Pd ed esponenti del governo. Ma la “svolta” (Conte dixit) per cui tutti già si spellano le mani, per ora è solo un pourparler con poco di concreto.

I bollenti entusiasmi andrebbero spenti per una lunga serie di motivi. Il primo è di natura pratica. Il Patto sui migranti verrà presentato mercoledì dalla Commissione, una settimana prima di quanto previsto, ma solo il giorno prima dell’inizio del Consiglio europeo con tutti i capi di Stato e di governo dell’Ue. Troppo a ridosso. Secondo Politico.eu, che ha raccolto le indiscrezioni di un funzionario Ue, il 24 settembre i grandi d’Europa potrebbero non avere il tempo di studiare il dossier così da iniziare una discussione dettagliata durante il vertice. E allora tutto potrebbe essere rimandato a data da destinarsi.

C’è poi la questione contenuti. Cosa sappiamo per ora del nuovo Piano migratorio? Poco o nulla. Ursula ha anticipato pochi dettagli e molto generici. Dovrebbe nascere una “governance europea della gestione delle migrazioni”, con una “struttura comune per l’asilo e i rimpatri” e soprattutto “un meccanismo di solidarietà molto forte e incisivo”. Tutto bellissimo. Ma nella pratica? Vito Crimi si aspetta una “proposta davvero ambiziosa”. L'europarlamentare Laura Ferrara (M5S) chiede ricollocamenti automatici e obbligatori”. E Zingaretti è già convinto che il progetto “renderà finalmente co-protagonisti e partecipi tutti i paesi, non solo l'Italia, nella gestione dei flussi migratori”. Ma di concreto per ora non c’è niente.

Abolire Dublino significherebbe mettere fine alla politica dello “Stato di primo approdo”, quella norma che obbliga Paesi come l’Italia e la Grecia a farsi carico - in pratica - di tutti i richiedenti asilo che sbarcano sulle coste europee. Sarebbe sicuramente una nota positiva, ma fino a che punto? "Il trattato riguarda i rifugiati - dice Giorgia Meloni - che sono il 10% dei migranti che arrivano da noi. Ma noi dobbiamo risolvere il problema del rimanente 90%, cioè degli immigrati clandestini che noi, anche se modificassimo cento volte il decreto di Dublino, non potremmo comunque ricollocare in Europa”. L’Italia (da tempo) preme per rendere obbligatorio il meccanismo di ripartizione dei migranti recuperati in mare. Oggi l’adesione è volontaria (solo da parte di alcuni) e ogni volta per attivarla servono sforzi diplomatici. Secondo Repubblica, l’idea della Commissione sarebbe quella di far rientrare nella redistribuzione obbligatoria solo chi ottiene l’asilo e non i migranti economici (quindi una piccola parte). Mentre una ripartizione totale potrebbe essere garantita solo in caso di flussi “straordinari”, ma assicurando agli Stati restii alla solidarietà la possibilità di sfilarsi. Magari facendosi carico dei costi dei rimpatri.

Ecco, i rimpatri. Ursula ha assicurato che ci sarà un “collegamento più stretto tra asilo e rimpatrio”, perché “dobbiamo fare una chiara distinzione tra coloro che hanno il diritto di restare e coloro che non lo hanno”. Posizioni già assunte in passato, ma che dal 2015 - anno di inizio della crisi migratoria - non hanno mai trovato applicazione. I numeri parlano chiaro.

Il vero problema riguarda però le divisioni storiche tra gli Stati membri. Il blocco di Visegrad e l’Austria di Kurz non sono propensi a condividere stranieri. Ursula proverà ad ingolosirli proponendo di “rafforzare le frontiere esterne”, stipulando a livello Ue accordi con i Paesi africani per i rimpatri e sviluppando “canali legali di migrazione”. L’obiettivo è dare vie sicure ai profughi, accogliere solo chi può lavorare e tagliare il “business” ai trafficanti. Basterà? Difficile dirlo. Di sicuro i precedenti non sorridono alla bionda presidente.

Per capirlo basta scorrere la (lunga) pagina web dedicata dal Consiglio europeo alla cronistoria delle politiche migratorie. È dal 2015 che si promuovono incontri, riforme, modifiche, proposte. Ma a parte pochi passi in avanti siamo sostanzialmente al punto di partenza. Gli ignobili campi sulle isole greche continuano a incendiarsi. Gli scafisti incassano. Gli sbarchi continuano. Magari questa è la volta buona (si spera). Ma gioire per una sicura “svolta” è sicuramente prematuro.

Alle parole occorre infatti far seguire i fatti. E per arrivare ad una soluzione la riforma dovrà essere approvata in co-decisione da Consiglio e Parlamento Ue. Tradotto: i tempi sono lunghi. L’abolizione per ora è poco più di un sogno, lontano dalla realtà.

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