L'Ue chiede sanzioni pure su Schröder

E il Bundestag intanto lo spoglia di tutti i privilegi da ex cancelliere

L'Ue chiede sanzioni pure su Schröder

Berlino. Essere preso di mira nello stesso giorno sia dal Parlamento del proprio paese sia dal Parlamento europeo non è un'impresa facile. Ci è riuscito però l'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, il leader socialdemocratico che ha guidato la Germania fra il 1998 e il 2005 in coalizione con i Verdi. A lui e alle riforme dei suoi governi va attribuita la modernizzazione della Germania riunificata: Schröder ha riformato lo stato sociale, abbassato il costo del lavoro facendo scendere la disoccupazione e spinto il Paese sulla via della crescita.

Un'operazione condotta anche oliando la locomotiva tedesca con molta energia a basso prezzo: se il gasdotto Nord Stream 1 che collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico è stato inaugurato nel 2011 da Angela Merkel, il merito è comunque di Schröder. È stato lui a spingere per importare volumi crescenti di idrocarburi a basso prezzo dalla Russia ed è stato ancora lui il principale sponsor del Nord Stream 2, il raddoppio della pipeline diretta osteggiata da Usa, Polonia e Repubbliche Baltiche. Quel gasdotto è stato bloccato a lavori appena ultimati dal cancelliere (e compagno di partito) Olaf Scholz alla vigilia del conflitto russo-ucraino. Quello che ai tedeschi invece non va giù è che il giorno dopo aver lasciato la cancelleria federale, Schröder si è trasformato nel principale lobbista delle imprese energetiche russe in Germania in un poco elegante passaggio dal pubblico al privato. Nel corso degli anni l'ex cancelliere ha fatto carriera e, oltre a essere reputato molto vicino al presidente russo Vladimir Putin, è diventato un dirigente pagato a peso d'oro da Rosneft e dai Gazprom. E se il Nord Stream 2 fosse andato in porto, sarebbe diventato presidente del comitato degli azionisti. Dallo scorso 24 febbraio nessuno è stato capace di convincerlo a fare un passo indietro: né il governo Scholz né i compagni della Spd. All'inizio della guerra alcuni dipendenti della cancelleria federale assegnati all'ex capo di governo si erano rifiutati di lavorare per lui ma neppure questa protesta ha scalfito il suo attaccamento ai suoi interessi in Russia. Così ieri, mente il Parlamento europeo votava una risoluzione per chiedere l'inclusione dell'ex cancelliere nella lista delle persone soggette a sanzioni se non si dimetterà dal cda di Rosneft, a Berlino il Bundestag è passato ai fatti. Con il voto della maggioranza «semaforo» e dell'opposizione moderata (la Cdu-Csu), la Commissione Bilancio ha messo «a riposo» gli uffici e il personale di cui Schröder disponeva come ex capo del governo federale. Nel 2021 la sua «dotazione» era costata alle finanze tedesche 419mila euro. A Schröder resta una guardia del corpo e, ovviamente, la pensione da ex cancelliere, ma la sensazione è quella di una degradazione sul campo.

Il voto del Bundestag non ha messo però fine alle polemiche fra chi, soprattutto a Berlino, ritiene che la Germania stia sostenendo l'Ucraina con convinzione e chi, soprattutto a Kiev, pensa che i tedeschi dovrebbero fare di più. Perché nel corso di un dibattito ieri in aula al Bundestag, il cancelliere Scholz non si è detto favorevole a una procedura accelerata per favorire l'ingresso dell'ex Repubblica sovietica nell'Ue. Per il cancelliere si tratta anche di una questione di correttezza verso i Paesi dei Balcani occidentali che da anni seguono una lunga trafila e dove lo stesso Scholz si recherà a giugno. Al contrario, l'ingresso di Kiev non è questione «né di mesi né di anni».

Questo, ha replicato il ministro degli Esteri dell'Ucraina, Dmytro Kuleba, «è un trattamento di seconda classe» che il suo Paese non merita. Peggio ancora, «si tratta di un'ambiguità strategica fallimentare che non ha fatto che imbaldanzire Putin e che ferisce i sentimenti degli ucraini».

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