L'ultima bufala sul "piano B" per traslocare Draghi al Quirinale senza le urne

La promessa impossibile: un governo senza SuperMario al timone. Il "no" di Mattarella non è servito a cercare un candidato condiviso.

L'ultima bufala sul "piano B" per traslocare Draghi al Quirinale senza le urne

Draghi sul Colle e un draghetto qualsiasi a Palazzo Chigi. Uno tipo Daniele Franco, ministro dell'Economia, per guidare un governo forse non irresistibile ma capace di mettere in sicurezza il Pnrr e i miliardi annessi, in grado in nome dell'emergenza di reggere qualche mese, forse, chissà, hai visto mai, tutta la legislatura. Eccolo il piano B di Enrico Letta, la mossa per convincere i suoi riottosi e sospettosi gruppi parlamentari che non è detto che se il premier si trasferisce al Quirinale si andrà dritti al voto. B come bufala: secondo la maggioranza degli osservatori l'attuale, e proficuo, equilibrio politico si regge solo perché al timone c'è SuperMario. Senza di lui, senza il collante, senza l'uomo che ci protegge sui mercati e ci ha ridato peso internazionale, la navigazione sarà impossibile.

E un piano B ce l'hanno, pare, anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni, e B non significa Berlusconi ma ancora bufala. Guarda caso, il progetto corrisponde a quello del segretario del Pd. «Tutti i candidati sono candidabili», sostiene il leader del Caroccio. E la Meloni spiega che, certo, sosterrà il Cav ma pure che «non sarà facile sul piano dei numeri», nonostante sulla carta gliene manchino solo una cinquantina. L'idea di fondo, la narrazione per motivare le truppe, è la stessa: siete sicuri che se Draghi rimarrà a Palazzo Chigi non ci saranno elezioni anticipate? Per salvare la legislatura - e i relativi stipendi - non sarà più utile che prenda il posto di Mattarella? Del resto il presidente di FdI vede le urne vicine comunque.

La corsa è partita. Una girandola vorticosa di abboccamenti riservati: Letta-Meloni, Salvini-Conte, Meloni-Salvini e via incontrandosi. Una serie di profili che emergono e rapidamente si inabissano per poi forse riaffiorare più in là: Casini, Amato, Cartabia, Veltroni, Gentiloni che dice di star bene a Bruxelles, Prodi che si propone, Pera che sarebbe l'arma segreta di Salvini. Un balletto sul nome di Draghi, di cui nessuno in realtà conosce le vere intenzioni, che si intreccia con quello sul capo dello Stato uscente. Una larga fetta, larghissima, di deputati e senatori di ogni partito che accetterebbero tutto e il contrario di tutto pur di non tornare a casa in anticipo. Diverse forze, a cominciare dai Cinque Stelle, che sono in evidente declino e non sono in grado di garantire la rielezione, tanto più che il prossimo Parlamento passerà da quasi mille a seicento rappresentanti. Saranno due mesi intensi.

Ed è proprio su questo ventre molle e impaurito che si concentrano gli sforzi degli ideatori dei piani B. Al momento la nebbia e fitta, l'unica certezza, sembra, è il no ripetuto di Sergio Mattarella a un secondo invalido, pieno o a termine che sia. Finora gli appelli a rimanere sono stati respinti con perdite e Letta ha visto così evaporare il suo vero candidato principale, il profilo che gli avrebbe consentito di tenere unito il centrosInistra. Dietro l'indisponibilità del presidente al bis ci sono motivi costituzionali - «sette anni sono già troppi, l'Italia non è una monarchia» - e anche politici. Il capo dello Stato è davvero preoccupato perché, a meno di due mesi da una scelta così importate, cercano «le scorciatoie» o si incartano in improbabili riforme del semestre bianco e della rieleggibilità invece di impegnarsi in una «assunzione piena di responsabilità». Così, riflettono sul Colle, si spezzerà il «filo sottile» che lega insieme la maggioranza di unità nazionale di cui ci sarebbe ancora bisogno per la lotta al virus e alla crisi economica.

Ma paradossalmente la rinuncia di Mattarella non ha fatto chiarezza, né ha stimolato il dibattito. Centrosinistra e centrodestra da soli non hanno la maggioranza, un dialogo vero, per la scelta di un candidato forte e condiviso, non si vede. Senza di lui in campo le coalizioni rischiano anzi di spaccarsi e i leader sono tentati dalla prova di forza. Meglio andare alle urne e perdere ripulendo però le liste dai nemici interni, questo è il calcolo che intriga Letta e Conte e che potrebbe interessare pure Salvini. Sotto con i piani B, allora. Certo, le variabili sono diverse.

Là polveriera del M5s, dove nessuno comanda. Le correnti del Pd. I numeri di Berlusconi. I movimenti nella terra di mezzo. Ecco, a proposito: provate a dire a Matteo Renzi o ad altri centristi che se Draghi va al Quirinale poi non si vota e vedete se se la beve.

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