L'ultima follia militante. Il casco da equitazione non sta sui capelli afro

La crociata del "New York Times": coi dread impossibile indossare il cap. Un discrimine

L'ultima follia militante. Il casco da equitazione non sta sui capelli afro

Ieri i lettori italiani del New York Times si saranno concentrati - come è ovvio - sul lungo articolo, entusiasta, che il giornale dedicava alla neosegretaria multigender del Partito democratico: Elly Schlein. E va bene. Ottimo pezzo.

Ma proprio sopra al richiamino di prima pagina «Remaking Italy's Center Left», «Rifare il centrosinistra italiano», svettava, con una grande fotografia a colori, un pezzo che - non è un paradosso - in qualche modo è il manifesto di quell'ideologia che negli Stati Uniti, e non solo, sostiene personaggi e politici Schlein-oriented. E l'articolo, anticipato come spesso succede il giorno precedente nell'edizione online, raccontava la storia di come ormai andare a cavallo è da razzisti perché i caschetti protettivi non sono dimensionati per chi ha i capelli afro... Titolo (ripetiamo: di prima pagina): «Black equestrians plead for helmets that'll fit». E quello dell'edizione online è ancora più allarmistico: «Black Equestrians Want to Be Safe. But They Can't Find Helmets».

Insomma: il giornale pubblica una lunga inchiesta, oltre 11.800 caratteri, qualcosa che corrisponde a circa 195 righe, più del triplo dell'articolo che state leggendo, su come per coloro che amano andare a cavallo, o lo fanno per sport, ma sono di colore, trovare un casco che si adatti a una capigliatura molto riccia o con le treccine può diventare impossibile. Ci sono testimonianze strazianti, molte; come quella di Hanel Robbins, nera, che ha cavalcato per la maggior parte della sua vita, poi otto anni fa si è riunita al padre, originario della Giamaica, e ha deciso di acconciarsi i capelli con i «locks», come papà. Ma c'era un problema: il suo casco da equitazione non si adattava più e non riusciva a trovarne uno che lo facesse. «Finalmente mi sento dannatamente me stessa, e ora la società mi sta chiedendo di cambiare», ha detto alla giornalista, as she choked back tears, «soffocando le lacrime»... Poi l'articolo si concentra su come evitare tali derive razziste - «ma le aziende produttrici di caschi affermano che non esiste una soluzione semplice» - e infine un'amara costatazione. «Ecco un'altra barriera all'inclusione in uno sport che rimane prevalentemente bianco».

Barriera all'inclusione. C'è scritto così. Another barrier to full inclusion. E l'equitazione come sport che rimane overwhelmingly white. Prevalentemente bianco.

Ci fermiamo qui.

Articoli del genere sul NYT, quotidiano ultra liberal, sono all'ordine del giorno. Le barriere all'inclusività il lunedì riguardano i neri, il martedì i nativi americani, il mercoledì gli omosessuali, il giovedì i trans, il venerdì i non binari, il sabato i fluidi... E al settimo giorno il Dio del massacro si riposò.

Un amico appena tornato da un giro fra New York e Washington ci faceva notare come moltissimi negozi, soprattutto quelli delle grandi marche, non mancano di esporre vetrofanìe con la sigla «BLM», «Black Lives Matter». Ma poi in una piazza a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca hanno allestito un mega accampamento di senzatetto. Per lo più, o quasi unicamente, di colore. «Woke» significa che bisogna stare in guardia davanti alle ingiustizie razziali e sociali. Ma anche di fronte alle ipocrisie, altrettanto devastanti.

Non vogliamo ora irrigidirsi sulla linea editoriale del New York Times, né calcare la mano sull'episodio dei «Black equestrians».

Notiamo però che l'onda lunga del politicamente corretto, che si è trasformato nello tsunami della cancel culture, diventa sempre più pericolosa, e minaccia anche le coste della Vecchia Europa. Si abbatterà anche qui con la stessa violenza, e la stessa cieca stupidità?

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