«Non ha più senso». Con queste parole la presidente della Commissione Ursula von der Leyen dice quello che ormai i principali Paesi europei pensano sul voto all'unanimità, con il quale il Consiglio europeo è chiamato a deliberare su alcune aree chiave della politica del vecchio continente. Una critica netta ed esplicita che, fino alla guerra in Ucraina, in pochi pronunciavano così apertamente, pur consapevoli degli ostacoli che poneva. La sfida del conflitto avviato da Vladimir Putin, la necessità di prendere decisioni in fretta per incidere con immediatezza sulle crisi europee e internazionali, senza farsi ostacolare dai pesci piccoli, i Paesi minori, potrebbe invece ora far crollare uno dei pilastri su cui si è retta fino a questo momento la politica dell'Unione europea. Spesso inchiodata proprio dalla necessità di dover decidere con il consenso di tutti i Paesi membri, invece che a maggioranza.
Ora però diverse voci si alzano. E sono quelle dei protagonisti dell'Europa di oggi, messi di fronte alle tensioni provocate dalla Russia. Lo spiega bene Emmanuel Macron: «L'Europa dev'essere all'altezza dei tempi. Lo chiedono i suoi cittadini. E per farlo deve cambiare le proprie regole, a partire dal vincolo dell'unanimità in Consiglio». E lo conferma, rilanciando «il sogno degli Stati Uniti d'Europa», il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi. Più che un sogno - spiega su Facebook l'ex capo del governo - «vogliamo anzi farne un obiettivo concreto, cioè un modello di Europa basato su un profondo rispetto per l'identità dei singoli stati, ma con una unica e forte voce politica negli scenari mondiali e con un'unica forza militare europea». Ed ecco che Berlusconi arriva al punto: «Cambiando i trattati possiamo costruire un'istituzione capace di decidere a maggioranza, liberarla dall'obbligo dell'unanimità che spesso si è dimostrato un limite. Come scriveva nel 1954 Luigi Einaudi per gli stati europei, il problema è fra l'essere uniti o scomparire: noi vogliamo un'Europa unita e forte»
A mostrare tutti i limiti del voto all'unanimità, proprio nei giorni scorsi, è stato il veto dell'Ungheria, che sull'embargo petrolifero contro la Russia, ha fatto slittare il nuovo pacchetto di sanzioni, salvo poi strappare una possibile deroga di due anni. A seguire si sono unite, minacciando di mettersi di traverso, Slovacchia e Repubblica Ceca. E da ultima la Bulgaria.
Eppure, il paradosso è che mentre ieri si dibatteva dell'abbattimento di un tabù e di una riforma sul voto, 13 Paesi mettevano già nero su bianco il loro secco no.
A sottolineare l'assurdo della situazione è stato anche Romano Prodi, su Radio Rai 1: «Siamo in un momento decisivo. Tutti oggi hanno acclamato alla fine dell'unanimità per poter prendere decisioni. Però, la fine dell'unanimità si può fare solo con un voto all'unanimità: siamo al ridicolo.
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