L'urlo ai seggi contro Roma Frantumato il quorum

Un plebiscito che va al di là del voto per il centrodestra Affluenza record a Vicenza. L'attacco hacker nella notte

L'urlo ai seggi contro Roma Frantumato il quorum

Missione compiuta. Già alle 19 il referendum veneto aveva raggiunto il quorum per la gioia di Luca Zaia, il governatore leghista che da ieri sera ha ufficialmente strappato a Giancarlo Galan l'appellativo di Doge. Una sberla agli scettici e una medaglia sul petto di Zaia che più di tutti ci ha creduto. La spinta autonomista del Veneto non si è esaurita, l'insofferenza contro la cattiva amministrazione non è un ricordo archiviato, il miraggio delle tasse da trattenere sul territorio resta forte.

Lo scrutinio, rallentato da due attacchi di hacker, uno nel pomeriggio e l'altro pochi minuti prima che chiudessero le urne, dice che è andato a votare il 58 per cento dei veneti (552 sezioni su 575). Risultati plebiscitari: il Sì tocca quota 98 per cento. Tanto da far dire a un raggiante governatore che «questa Regione dà il via a un big bang di riforme istituzionali». Il confronto con le ultime regionali, 31 maggio 2015, mostra che il referendum è andato ben al di là dell'area del centrodestra che aveva eletto Zaia. Due anni e mezzo fa aveva votato il 57,2 per cento e la coalizione che sosteneva il candidato leghista aveva conquistato il 52,2. L'autonomia è dunque un tema trasversale, una questione che attraversa i partiti e non conosce vincoli di bandiera.

Il nucleo del Veneto autonomista è nel triangolo Vicenza-Padova-Treviso. Sono queste le province che hanno fatto segnare le percentuali più alte di affluenza alle urne, assieme a tutta la fascia prealpina al confine con il Trentino che va dalla Lessinia al Cadore passando per il Pasubio, il Grappa e il Montello. «Dalle mie parti abbiamo percentuali come Treviso», gongolava ieri sera Stefano Valdegamberi, consigliere regionale che ha la sua roccaforte in Lessinia, nel Veronese. Alle 23 in tutte le tre province i votanti avevano superato il 59 per cento. Più tiepide le altre province, in particolare Rovigo. Ma il Polesine è sempre stata la zona del Veneto più impermeabile alle istanze federaliste della Lega Nord.

Sorprende invece l'affluenza moderata che si è registrata a Belluno, dove si è svolto anche un secondo referendum per chiedere più autonomia alla stessa Regione. Belluno è la provincia dove si trova il maggior numero di Comuni veneti che negli anni scorsi hanno chiesto (ma non ottenuto) il passaggio sotto il Trentino. È una zona stretta da tre amministrazioni speciali, le Province autonome di Trento e Bolzano e la regione Friuli Venezia Giulia. Qui non servono comizi elettorali per spiegare i vantaggi dell'autonomia: basta fare qualche chilometro, varcare i confini provinciali e toccare con mano strade asfaltate come si deve, alberghi ristrutturati con mutui a tasso zero, trasporti pubblici efficienti, impianti di risalita finanziati con le sovvenzioni pubbliche. Eppure alle 23 nel Bellunese non si è superato il 52 per cento contro il 62,7 di Vicenza, il 59,6 di Padova e il 58 di Treviso.

Il problema di Belluno è che un elettore su quattro, il 27 per cento, vive e lavora all'estero e in questo tornata elettorale senza precedenti e probabilmente senza repliche - il voto per corrispondenza non era possibile. Del resto, nell'intero Veneto i residenti all'estero iscritti alle liste elettorali regionali superano l'8 per cento.

Se avessero potuto votare anche loro, probabilmente il quorum sarebbe stato anche più elevato. Ma il dato di fondo non cambia, l'onda dell'autonomia è dilagata ovunque ed è diventata anche da noi una questione che la politica romana non potrà ignorare ancora.

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