Mélenchonismo, malattia della sinistra europea

Le divisioni registrate nel gruppo socialista europeo, come nei verdi, ti appaiono irrazionali. Echeggiano i meccanismi della sinistra di quarant'anni fa

Mélenchonismo, malattia della sinistra europea
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Gli imperscrutabili, misteriosi, enigmatici processi mentali di una certa sinistra europea, ovvero quella radicale, estrema che ha perso la testa per Jean-Luc MélenchonTante volte ci si interroga sulla logica politica che perseguono quei mondi nostrani legati al gruppo socialista di Strasburgo, ma va riconosciuto che almeno nel voto sulla Commissione Europea di Ursula von der Leyen di cui fa parte Raffaele Fitto, il Pd - a parte qualche esponente stravagante - ha adottato una linea pragmatica che ha tenuto nel dovuto conto gli interessi nazionali a scapito dell'approccio ideologico. Gli altri - mi riferisco ai socialisti francesi o a quelli tedeschi e ad una parte dei verdi - sono stati capaci di inventarsi un capolavoro di «ebetismo» politico: avevano la possibilità di dividere le destre europee, portandosi dietro Fratelli d'Italia e annegandone i voti in una maggioranza più ampia, e invece opponendosi o astenendosi hanno regalato Ursula von der Leyen a Giorgia Meloni. Di più, nell'attuale situazione i voti della premier italiana risultano determinanti per tenere in piedi il governo europeo.

Siamo di fronte ad un raro esempio di masochismo politico. Ci sarebbe da parafrasare - visto che parliamo di sinistra - una vecchia citazione di Lenin: il «mélenchonismo» malattia infantile della sinistra europea.

Ora il «leitmotiv» consolatorio in bocca alla sinistra è che la commissione Ue è più debole, che non c'è mai stato un governo europeo che abbia ricevuto meno voti di quello della von der Leyen. Di fatto ridono sulle loro macerie. Sul frutto della loro follia perchè loro - che criticano Donald Trump da mane a sera - hanno reso l'Europa più debole nel confronto con il nuovo presidente americano. O ancora rimproverano la Meloni per aver appoggiato una Commissione senza averne condiviso mesi fa il programma: siamo alle «supercazzole» perchè il profilo politico del governo europeo sarà determinato dai voti sui singoli provvedimenti e avendo regalato un ruolo rilevante alla destra della Meloni molto probabilmente le linee programmatiche saranno declinate in maniera diversa.

Ragion per cui le divisioni registrate nel gruppo socialista europeo, come nei verdi, come le rigiri ti appaiono irrazionali. Echeggiano i meccanismi della sinistra di quarant'anni fa: anacronismi di un tempo passato tornato in auge. Ci vorrebbe molto più pragmatismo per governare i complessi problemi dell'oggi perchè con l'estremismo, il radicalismo e l'ideologia non si va da nessuna parte. Del resto con queste logiche, ponendo condizioni impossibili, nella stessa Francia Mélenchon ha ridato ruolo ad una Marie Le Pen che era stata sconfitta nel secondo turno delle ultime politiche.

In Europa, invece, per gli stessi limiti comportamentali e strategici i socialisti francesi e tedeschi hanno messo sul piedistallo la Meloni, ne hanno esaltato l'abilità e, nel contempo, hanno garantito al Ppe la centralità trasformando Manfred Weber nell'erede di Machiavelli. Roba da non credere. Eppure sarebbe dovuto essere un obiettivo comune della vecchia maggioranza Ursula allargare il consenso della Commissione per renderla più forte in una fase piena di incognite visto che l'Europa è alle prese con due guerre e con un nuovo inquilino alla Casa Bianca che non la rispetta, la guarda dall'alto in basso, non ama la Nato, flirta a giorni alterni con Putin e sparla di dazi da imporre al vecchio Continente.

E quel pezzo di destra che sulla vicenda ucraina aveva dimostrato di avere a cuore i destini europei - appunto la Meloni - sarebbe dovuto essere l'interlocutore naturale. Invece, quel pezzo di sinistra europea ha avuto un comportamento speculare a quello di Salvini. E ho detto tutto. Sulle cose serie i rigurgiti populisti di sinistra e di destra si somigliano.

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