Un cambio di passo. Prima il mea culpa di Luigi Di Maio con le scuse a mezzo stampa al sindaco di Lodi Simone Uggetti per la strumentalizzazione dei suoi guai giudiziari poi dissolti in un'assoluzione, ora la spada di Damocle dei referendum sulla giustizia, i quesiti sui quali Lega e Partito radicale raccoglieranno insieme le firme.
Il M5s prova a riposizionarsi, ma in casa Cinque stelle l'uscita di Di Maio non è stata gradita da tutti. Non è un caso che quell'uscita sia stata anche pesantemente criticata, sul Fatto quotidiano, da Marco Travaglio che evoca una «sindrome di Stoccolma» che avrebbe colpito Di Maio convertendolo sulla via di un garantismo che nel caso di specie sarebbe del tutto fuori luogo.
E neppure è un caso che ieri Giuseppe Conte, leader in pectore del M5s e avversario di Di Maio, sia intervenuto sul tema. In lungo post su Facebook l'ex premier prova riportare la barra sul giustizialismo: «L'etica pubblica è uno di quei valori che il M5S ha reso tangibile con scelte forti e di rottura. La linea del Movimento su questo non può generare alcuna confusione. Per questo oggi chi pensa che il nuovo Movimento possa venire meno a queste convinzioni o pensa di strumentalizzare questo percorso di maturazione, rimarrà deluso». Attacca la Lega, «non è tollerabile quanto detto da un esponente di governo come Claudio Durigon (non indagato, ndr), ancora al suo posto nonostante le gravi affermazioni divulgate. Riteniamo vada fatta chiarezza, anche fosse solo millanteria...» e assicura «massimo impegno per realizzare le riforme già avvitate» (quindi, pare di capire, quelle promosse dall'ormai ex Guardasigilli Alfonso Bonafede) e «senza scorciatoie».
In questo scenario confuso, per accelerare le riforme annunciate da Marta Cartabia, la nuova titolare di via Arenula, ecco appunto spuntare all'orizzonte la «pistola» dei referendum.
Che i radicali volessero quella strada l'aveva già raccontato al Giornale, a marzo scorso, il responsabile della Commissione giustizia del partito referendario, Giuseppe Rossodivita, spiegando che i radicali avrebbero cercato altre forze politiche per «forzare la mano» al parlamento «incapace di prendere il toro per le corna». Ed ecco, dunque, in perfetta coerenza con quella dichiarazione d'intenti, nascere pochi mesi dopo l'inedito ticket con il Carroccio. Ieri il leader della Lega Matteo Salvini ha annunciato: «A luglio torneremo in piazza per raccogliere le firme a sostegno dei sei quesiti sulla giustizia che depositeremo il 3 giugno».
L'opzione referendaria, però trova pochi appigli nella maggioranza. Dal Pd Enrico Letta ha fatto sapere che il referendum «allungherebbe i tempi» della riforma.
Si potrà veramente arrivare a una riforma del processo penale entro la fine dell'anno, come auspica la Cartabia e come indica il piano d'azione del ministro? Difficile dirlo, anche se almeno sulla carta la strada è segnata.
Per Forza Italia, come ha spiegato tra gli altri Francesco Paolo Sisto, sottosegretario a via Arenula, l'entrata a gamba tesa del referendum sul processo di riforma, però, potrebbe essere un possibile stimolo alla politica. Un punto, come detto, che non convince affatto i dem, che ritengono, invece, che ora come ora il ricorso alla democrazia diretta cozzerebbe con la bozza stilata dai «saggi» della Cartabia che si avvia a sbarcare in Parlamento.
E l'appello del leader leghista Matteo Salvini, che in risposta alla svolta di Di Maio ha chiesto al suo ex collega vicepremier di «firmare i nostri referendum sulla giustizia», viene preso dai pentastellati né più né meno che come una bassa provocazione. Dal M5s già la riforma voluta da Cartabia viene accolta con freddezza, anche se i pontieri a Cinque stelle assicurano di essere pronti al dialogo.
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