Macron e Starmer rompono gli indugi: una task force a Kiev

A giorni un team per rafforzare l'esercito ucraino. Poi la "forza di rassicurazione"

Macron e Starmer rompono gli indugi: una task force a Kiev
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Vanno veloci, Francia e Gran Bretagna. Dopo l'incontro a Parigi dei volenterosi, una prima certezza: l'invio di una task force franco-britannica a Kiev «nei prossimi giorni». Già in avanzato stato di preparazione, lavorerà con gli ucraini per «rafforzare» anzitutto l'esercito gialloblù. Secondo Parigi e Londra, le divise ucraine sono da considerare in prospettiva una prima «garanzia di sicurezza per tutta l'Europa», e da loro (e con loro) si inizierà a colorare anche l'operazione boots on the ground nonostante le voci dubbiose o contrarie emerse tra gli stessi volenterosi; circa la metà dei 31 Paesi coinvolti, Italia e Spagna in primis, tendono al No.

Tanto Macron quanto Starmer hanno già chiesto ai rispettivi chief of staff di organizzare comunque il team per Kiev: in rampa di lancio per coordinarsi sul campo con le controparti, per capire anzitutto quali armi e apparecchiature possono essere utili all'esercito nel breve periodo come «deterrenza» agli attacchi russi; quali poi saranno necessarie per mettere a terra il primo tassello di quella «forza di rassicurazione» (così l'ha ribattezza Macron), sempre a guida franco-britannica, che altri Paesi europei potrebbero raggiungere su base volontaria, ha spiegato il presidente francese. Danimarca e Svezia hanno dato disponibilità di massima.

I volenterosi tornano a riunirsi il 10 aprile a Bruxelles nel format ministri della Difesa. Uniti idealmente dal sostegno politico a Kiev, ma distanti per interessi non sempre convergenti. Tra i diplomatici delle cancellerie invitate a Parigi c'è chi ha chiesto lumi sul forcing per entrare in Ucraina. Ed è stato detto che Parigi - sullo sfondo del riarmo europeo - vede nell'esercito di Kiev una sorta di business per la propria industria militare, sulla falsa riga di quanto sta già facendo la Germania. Berlino ha già aperto un primo stabilimento Rheinmetall per la manutenzione di blindati KF-41 e carri KF-51 Panther, considerato obiettivo militare legittimo dal Cremlino. Diventeranno 4, visto il memorandum firmato per la reindustrializzazione. La Francia non ha intenzione di restare indietro, e poiché l'Ue ha allargato le maglie del Patto di stabilità per spese in armamenti (e forse offrirà fondi e non solo prestiti) entro 5 anni tre imprese francesi «creeranno partnership» per produrre armi sul territorio ucraino, ha annunciato il ministro Lecornu. Tutto si fa più chiaro: avranno bisogno di un ombrello militare per lavorare in pace.

L'Onu fa sapere che non sta pianificando «nulla», come detto ieri da Jeanne-Pierre Lacroix, braccio destro del Segretario generale Guterres. Parigi in pressing per creare una «Coalizione» senza compiti di peacekeeping e solo dopo un «cessate il fuoco», accanto all'esercito gialloblù ma a presidio delle fabbriche europee, oltreché delle infrastrutture energetiche di Kiev.

La forza militare vera e propria, semmai vedrà la luce, non sarà infatti dislocata al fronte, lungo la linea di contatto. Ma «in località strategiche». I primi piani sono stati analizzati dai capi di Stato maggiore. Ai capi militari volenterosi Parigi ha già proposto di «produrre e fare manutenzione di armi sul territorio ucraino» con fabbriche francesi, europee, svelando la prospettiva del business e imbarcando quante più nazioni possibili per aiutare la Francia (ma la Germania gradisce anche) a difendere i propri investimenti e non solo gli ucraini. I franco-britannici hanno via libera. Zelensky ha evocato la «coproduzione» di armi sul suolo ucraino, «siti industriali» la cui sicurezza il contingente potrebbe garantire. «Il quadro dev'essere definito, ogni vertice è un passo avanti». A Macron e Starmer il compito di ammantare l'operazione di ideali.

C'è già una nuova data per chiarire in contorni di un annuncio che non ha più neppure lo status di segreto di Pulcinella: a maggio a Berlino i ministri affronteranno il «come» e «possibili missioni». Affinché la Russia non provi ad attaccare di nuovo, come ha fatto nel 2022 nonostante gli accordi di Minsk, quando le fabbriche di armi europee non erano diventate di casa.

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