Mafia Capitale, Di Pietro riabilita Craxi

L'ex pm: "Lui denunciò il sistema in parlamento e in tribunale, gli altri partiti facevano finta di non vedere". E punta il dito sulle cooperative

Mafia Capitale, Di Pietro riabilita Craxi

Fa un certo effetto sentire Di Pietro riabilitare Bettino Craxi. Dopo quasi ventitre anni dallo scoppio di Mani pulite, l'inchiesta che spazzò via la Prima repubblica, facendo tabula rasa delle forze politiche che, nel bene o nel male, avevano retto il Paese per 45 anni, il pm testa d'ariete del pool milanese riconosce che, in fondo in fondo, il leader del Partito socialista qualche ragione ce l'aveva. In un'intervista a Lettera43.it Di Pietro parte da un assunto: "Craxi si assunse le sue responsabilità e denunciò in eguale misura quelle degli altri, aiutando così la nostra inchiesta. E questo Craxi lo sapeva, non lo fece insomma a sua insaputa, non era un ingenuo. Denunciò il sistema di Tangentopoli nell’aula della Camera e davanti ai giudici del tribunale di Milano. Gli altri invece hanno fatto gli ipocriti e hanno continuato a farsi i ca… loro".

Di Pietro fa un parallelo con l'ultimo scandalo che ha investito la politica, quello di Roma: "Mafia capitale ha fatto emergere con forza il ruolo delle cooperative che anche per conto della sinistra, ex Pci-Pds-Ds, ha messo in piedi un sistema tangentizio molto sofisticato, con modalità innovative e di tipo ingegneristico. Ma quel sistema emergeva già dalla nostra inchiesta". Emergeva già dalle inchieste, dunque, ma gli ex comunisti furono solo sfiorati dai pm. E per i loro leader valse sempre, a differenza di Craxi, l'assunto che "potevano non sapere".

Nell'intervista a Lettera43 Di Pietro sottolinea di non avere nulla da rimproverarsi su Craxi. Ma per la prima volta sottolinea una differenza non di poco conto tra l'ex leader socialista e quelli degli altri partiti "che finora hanno fatto finta di non vedere e non sentire e che ora fanno ipocritamente gli scandalizzati, come se cadessero dalle nuvole".

Con minuzia di particolari Di Pietro spiega il sistema ingegneristico delle tangenti usato dall'ex Pci. "Vi era un sistema delle imprese che rispondeva economicamente e periodicamente a questo o quel partito (Dc, Psi partiti laici minori), suddividendosi fra loro la quota di tangente da pagare in cambio dell’appalto da loro ricevuto come associazione temporanea d’impresa (Ati) che avevano nel frattempo costituito appositamente per realizzare l’appalto in questione senza mettersi in concorrenza reale fra loro. In tali Ati molto spesso veniva inserita questa o quella cooperativa, la quale, però non pagava direttamente una quota di tangente al proprio partito di riferimento ma si assumeva l’onere di far fronte alle spese di gestione ed alle campagne elettorali del partito stesso, senza alcun specifico riferimento all’appalto a cui avevano partecipato, eliminando così furbescamente il rischio di poter essere incriminati per corruzione".

Un sistema molto sofisticato e ben congeniato dal punto di vista giuridico. E che secondo Di Pietro, "alla luce di quel che si sta scoprendo ora a Roma si è ulteriormente ingegnerizzato, addirittura interloquendo con organizzazioni criminali in grado di far valere le loro richieste anche con la forza e la violenza". Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Ma solo una drammatica evoluzione della specie.

Nell'ultima domanda Paola Sacchi (Lettera43) chiede a Di Pietro se si sia mai pentito di aver detto, pubblicamente, che Craxi era affetto da un "foruncolone" e che si fingeva malato per non finire in carcere in Italia.

Di Pietro prova a smussare i toni e risponde così: "Quella di Craxi è una storia che dovrà essere ancora scritta e non voglio fare polemiche". Glissa evitando di tornare sull'argomento. Ma le sue parole di allora - così come molte di quelle accuse a senso unico - pesano ancora oggi come macigni.

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