Sono passati 41 giorni. Proteste incessanti e spari sui manifestanti in Iran, dopo il caso di Mahsa Amini, 22 anni, morta mentre era sotto custodia della polizia morale perché non aveva indossato correttamente il velo. Gli agenti hanno aperto il fuoco anche ieri, sui civili che ricordavano Nika Shakarami, la 16enne scomparsa dopo una protesta in cui bruciava il velo. Le autorità hanno restituito il corpo dopo 8 giorni e parlano di suicidio.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, i morti accertati sono ormai 250. Che momento sta attraversando l'Iran?
«È la prima volta che scendono in piazza così tanti giovani, in maniera massiccia, più numerosi che nella onda verde del 2009. La morte di Mahsa ha smosso emotivamente tante persone. Perché non era un'attivista, non aveva abbracciato nessuna campagna, non era politicizzata. In migliaia hanno visto in lei una di loro. Ecco l'elemento di novità. Ma la repressione, purtroppo, resta vecchio stile».
Pugno duro, arresti, i familiari di Mahsa ai domiciliari. Perché stiano zitti?
«L'impressione è che li stiano coinvolgendo nella campagna che obbliga parenti delle vittime a raccontare una versione diversa dei fatti, perché testimonino cause differenti dalla morte reale: la caduta da un luogo alto, droga, incidente stradale, avvelenamento da cibo. I medici vengono obbligati a firmare certificati di morte sotto dettatura».
Cortei di medici sono stati attaccati sia a Teheran che a Isfahan. C'è una correlazione?
«Diversi medici si stanno rifiutando di firmare quei certificati fasulli».
Le manifestazioni sono una reazione alla stretta del regime o la repressione si è inasprita per le proteste?
«Nasce prima la protesta. È vero che c'è stato un irrigidimento delle norme sul codice di abbigliamento. Ma sarebbe passato inosservato se non fosse stata colpita una ragazza qualunque».
Quanti incriminati in 40 giorni?
«Oltre 300. Con accuse come: collusione per compiere azioni contro la sicurezza dello stato, propaganda contro il sistema, disturbo dell'ordine pubblico. Ma in 4 procedimenti si parla di moharebeh (offesa contro l'islam). Prevede la pena di morte».
La teocrazia in azione
«Con tutta la sua narrazione. Che comprende l'accusa di agente al servizio di forze straniere, Stati Uniti o Israele, usata da 44 anni ogni volta che c'è una protesta».
Nelle manifestazioni donne e uomini insieme. Quanto pesano crisi economica e disoccupazione? Che Paese è oggi l'Iran?
«È un paese in cui buona parte della popolazione vive stentatamente ed è arrabbiata. C'è chi ha rivendicazioni per il clima oppressivo, chi per la crisi economica, anche frutto delle sanzioni. C'è un senso di repulsione per le autorità».
La protesta non accenna a spegnersi. Quanto durerà?
«Le manifestazioni imponenti mostrano una determinazione impressionante a non interrompere il movimento. Ma è una valutazione di brevissimo periodo. Dall'altra parte c'è un regime che non si fa scrupoli. Nel 2009 fece 1500 morti e si fermò solo perché, dopo così tante vittime, fu la protesta a fermarsi. È uno scenario che non vorremmo mai vedere, ma il rischio che vinca la repressione è alto».
Cosa può succedere ancora?
«Che si isoli il Paese togliendo l'accesso a internet. Se non si riesce a comunicare all'interno per mobilitarsi potremmo trovarci in situazione tipo Myanmar. Non sapremmo cosa accade».
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