Il giorno dopo le dimissioni dal cosiddetto «comitato di garanzia» del partito e il guanto di sfida all'ex premier Conte, Luigi Di Maio tace sulla contesa interna e rientra nei panni istituzionali, celebrando le «eccellenze italiane» di Sanremo e inviando messaggi ufficiali ai suoi omologhi.
Ma che la contesa sia appena cominciata lo dimostrano le opposte batterie di cecchini fatte scendere in campo dai duellanti: se sui giornali del mattino l'ottimo Rocco Casalino aveva organizzato una batterie di interviste pro-Giuseppi, con i fedelissimi Taverna, Patuanelli, Ricciardi e Turco che dicevano quanto è buono Conte e quanto è cattivo Gigino, i Di Maio boys non sono stati da meno. Dalla napoletana Ciarambino (che ricorda perfidamente a Conte come, da oscuro avvocato, sia diventato premier solo grazie «alla rinuncia» e all'investitura dell'allora capo politico) al capogruppo Crippa, fino a Vincenzo Spadafora. A farsi sempre più chiara, in ogni caso, è la posta in gioco: altro che i «valori» di M5s confusamente evocati da Beppe Grillo in uno sconclusionato post («Leggerezza, rapidità, molteplicità» e via divagando) ma il voto anticipato, e chi sceglierà i candidati alle prossime politiche.
È questo l'oggetto dello scontro mortale: Conte, in perfetta sintonia con personaggi alla Di Battista, vuol far saltare prima possibile il governo dell'odiato Draghi, vendicando la propria (benefica) cacciata da Palazzo Chigi. Le elezioni anticipate gli sono necessarie per «coprire» il prossimo tonfo elettorale M5s alle amministrative 2022, che rischia di essere la pietra tombale sulla sua leadership. E vuol blindare liste di fedelissimi per il prossimo Parlamento, sperando di tornare in qualche modo al centro dei giochi.
È la ragione per cui agita lo spauracchio del «terzo mandato»: non solo per far pressione su Di Maio minacciando di escluderlo dalle liste (sarebbe comunque complicato, visto che la regola si abbatterebbe anche sui suoi, da Taverna a Bonafede, e persino sul presidente della Camera Fico), ma soprattutto per spaventare i parlamentari - sono 66 quelli sub iudice - e costringerli a scegliere tra lui e Gigino con il ricatto della non candidatura.
Del resto è lo stesso Marco Travaglio, tutore e guru politico (insieme a Dibba) di Conte, a definire i termini della resa dei conti interna: «Non è una lite tra comari né una guerra per la leadership; ma un dissidio politico sul draghismo». Se l'ex premier vuol far di tutto per abbattere prima possibile il suo successore (come si è visto anche nella opaca partita che ha giocato sul Quirinale), l'obiettivo di Di Maio è opposto: difendere il governo e la leadership di Draghi, assicurare la durata della legislatura e lavorare per una collocazione più moderata e governista del partito.
Su questa linea, però, ha un problema chiamato Pd: «Noi stiamo cercando di smontare il piano di Conte, che vuole andare a elezioni e fare sponda con Salvini e persino Meloni - confida un dirigente fedele a Di Maio - ma la vera domanda è: che vuol fare Letta?».
Il segretario dem, infatti, non ha messo in discussione l'asse con l'ex premier grillino neppure dopo il caso Belloni, né ha preso le distanze dalla deriva filo-Dibba del capo politico M5s: «Anzi - dicono i dimaiani - Letta continua a lavorare all'alleanza per le amministrative con uno che ha tutt'altri progetti. Vuole forse il voto anticipato anche lui?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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