«Di Maio sapeva che Caiata era indagato per riciclaggio. Lo avevamo avvertito noi. Ma ha voluto candidarlo lo stesso». Ad affermarlo non sono avversari della premiata ditta Di Maio&Caiata, ma soci della stessa azienda di famiglia: i responsabili del Movimento 5 Stelle di Siena. Che ora esultano: «Avevamo ragione noi! La vicenda Caiata non ci sorprende. L'avevamo prevista, ma Di Maio non ci ha dato ascolto». Sono parole importanti. Che squarciano il velo su possibili, quanto probabili, ipocrisie e gioco delle parti. La domanda chiave è: come potevano immaginare, Caiata e Di Maio, che la storia dell'inchiesta per riciclaggio non sarebbe emersa?
Due le ipotesi: o ci troviamo dinanzi a una coppia di grandissimi ingenui (per non usare un termine più crudo), o ci troviamo al cospetto di due grandissimi furbi (per non ricorrere, anche qui, a un aggettivo più pesante). La coppia in questione è, appunto, quella costituita da Luigi Di Maio, aspirante premier M5S, e Salvatore Caiata, candidato pentastellato nell'uninominale della Camera nel collegio di Potenza. Caiata, presidente del Potenza Calcio, nel volgere di poche ore è passato dalla stelle (cinque, per l'esattezza) alle stalle. Fino a quattro giorni fa, infatti, il «tostissimo» patron degli 11 leoni rossoblù (primi in classifica nel girone H del campionato di serie D) era considerato uno dei pupilli di Di Maio, in forza dei suoi «successi imprenditoriali»: insomma, uno di quei personaggi «nuovi» e «capaci» che tanto piacciono ai segretari di partito impegnati nella campagna acquisti pre elettorale. Ma giovedì scorso ecco la bomba: «Caiata indagato per riciclaggio». Reato pesante, ipotizzato dalla Procura di Siena, la città in cui Caiata ha vissuto negli ultimi 20 anni. Qui, all'interno di uno scenario «affaristico» dai contorni pieni di ombre, il futuro presidente del Potenza ha sviluppato la sua attività imprenditoriale cucendo una fitta rete legata alla compravendita di locali di ristorazione nel centro storico della capoluogo toscano. Un business milionario all'origine dei guai giudiziari di Caiata, accusato di aver creato un sistema di scatole cinesi fuori dalle regole del mercato, ma soprattutto fuori dalle regole della legge.
Appena lo scandalo è esploso, Di Maio - il «moralizzatore» - lo ha espulso dal Movimento: «Mi ha ingannato, non mi ha detto di essere sotto inchiesta». Tragicomica la replica di Caiata: «Pensavo fosse stato tutto archiviato. Comunque non mi ritiro dalla competizione elettorale, rimanendo tosto come sempre». Tradotto: dell'espulsione di Di Maio mi interessa poco e in Parlamento ci andrò lo stesso. Per poi militare sotto quale bandiera, non si sa. Ma la politica è anche questo, e si sa. Il ritorno di Caiata nella sua città natale, Potenza, risale allo scorso anno. L'armadio, con i vecchi scheletri, sembrava chiuso per sempre. E invece ora, a riaprirlo, è proprio una faida tra pentastellati.
Ieri sul sito dei 5 Stelle di Siena campeggiava un comunicato da brividi: «Era evidente che la candidatura di Salvatore Caiata nelle file del Movimento 5 Stelle in Basilicata fosse inopportuna. Non tanto per le chiacchiere sul suo conto, quanto per le sue frequentazioni politiche e imprenditoriali, lontanissime dal modo di essere del Movimento. Per questo ci siamo attivati avendo cura di informare a tempo debito e nei modi previsti, i livelli superiori del Movimento 5 Stelle nazionale, relativamente alle possibili problematiche legate a una tale candidatura. Avevamo ragione, ma non ci hanno ascoltato.
Non siamo per nulla sorpresi da quello che oggi leggiamo su tutti i giornali: semmai è la tempistica a lasciarci perplessi». Già, la «tempistica». In campagna elettorale vale tutto: anche il nuovo caso del M5s del candidato pugliese Antonio Tasso. La sua colpa? Una condanna per «vendita di cd contraffatti». Ma qui si scade nella farsa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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