Il decreto Dignità ancora non esiste, ma già la maggioranza si sta apprestando a cambiarlo.
Dopo un lungo scontro con la Lega, Luigi Di Maio si è arreso: per portare a casa la bandierina dei vitalizi, che altrimenti Salvini avrebbe bloccato, ha aperto alla reintroduzione dei voucher, già definiti «schiavismo» dai Cinque Stelle. Niente da fare: torneranno: «Ben vengano, se possono servire in settori come agricoltura e turismo», ha fatto dietrofront il ministro del Lavoro. E ora Lega e grillini stanno trattando per modificare il testo, quando finalmente arriverà in commissione: la Lega ha già pronto l'emendamento pro-voucher, i pentastellati dovranno ingoiarlo e poi il testo verrà blindato con la fiducia al Senato, per evitare incidenti. Nel frattempo, oggi la delibera che taglia le pensioni ad un migliaio di ex parlamentari sarà approvata dall'Ufficio di presidenza della Camera, con l'ok della Lega, il voto a favore del Pd e l'astensione di Forza Italia, e il grillino Fico potrà cantare vittoria.
Ieri è toccato ad uno stranito ministro ai rapporti con il Parlamento Fraccaro rispondere in aula alle opposizioni che chiedevano dove fosse finito il decreto Dignità, il cui varo era stato annunciato con fanfare il 2 luglio scorso. Il pover'uomo si è difeso come ha potuto: ha giurato che il decreto esiste davvero, che il suo testo ormai è quasi definito e in attesa della «bollinatura» della Ragioneria di Stato, e che è normale che per «provvedimenti di questa portata» sia necessario tempo per «un'analisi approfondita» degli «aspetti tecnico-normativi». In pratica, denuncia il Pd Michele Anzaldi, «Fraccaro ha ammesso che il Consiglio dei ministri aveva approvato solo un foglio di intenti».
Nel frattempo, però, il Pd è riuscito nell'impresa di spaccarsi sul decreto che non c'è. La sinistra, da Orlando a Cuperlo passando per Boccia e Damiano, apre all'idea di appoggiare il provvedimento Di Maio, benedetto dalla Cgil e da D'Alema. Chiaro l'intento, in vista del congresso: rinnegare una delle principali riforme di Renzi, il Jobs Act, per chiudere l'era «liberal» del Pd. Ma il fronte che propone il «dialogo» con i grillini è più ampio, e va da Franceschini al renziano «critico» Delrio: «Sarebbe un dialogo utile al paese», dice. L'obiettivo, spiegano gli acuti strateghi dell'apertura ai grillini, è quello di «disarticolare la maggioranza», provando a far da sponda a M5s contro la Lega. Esattamente quel che sperano alla Casaleggio: farsi legittimare a sinistra per assorbirne i voti, svuotando il Pd, visto che a destra è Salvini a fare il pieno.
La reazione renziana non si fa attendere: «Vogliono fare il congresso sull'accordo con i Cinque stelle? Bene, ci sono due linee nel Pd, la nostra e la loro. Sarà un congresso tosto», fa sapere l'ex premier. E intanto i suoi scendono in campo uno dietro l'altro stroncando le bislacche aperture al decreto dignità: «Invotabile», dice Guerini. «Un decreto mostriciattolo», dice Parrini. «Faremo un'opposizione nettissima a quel testo», dice Marcucci. «Quel dl va contro la storia del Pd», dice la Boschi.
E Matteo Orfini liquida come «assurdo» il dibattito aperto nel Pd da chi «vuol far sponda a Di Maio contro Salvini per convincerlo a governare con noi» e da chi «vuol votare il decreto per segnare discontinuità dalla stagione del Jobs Act e per interloquire con Bersani e D'Alema». Alla fine anche il neo-segretario Martina, chiamato in causa da Carlo Calenda («Votare quel pasticcio sarebbe un errore mortale, Martina smentisca») dice no: «Quel decreto non è votabile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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