La mamma di Orlando: "Non si è tolto la vita, lo hanno ammazzato"

Il suicidio sotto il treno e i messaggi d'odio sui social. La Procura indaga per omofobia

La mamma di Orlando: "Non si è tolto la vita, lo hanno ammazzato"

Sì, quel corpo travolto dal treno domenica scorsa tra la stazione di Lingotto e quella di Moncalieri è il suo.

Ma Orlando Merenda non si sarebbe mai ucciso. Amava troppo la vita. Anche se la sua esistenza di 18enne era turbata dall'odio di chi gode a piantare semi di cattiveria nell'esistenza della gente per bene. E Orlando, per bene, lo era davvero: un ragazzo senza macchia e senza peccato. Cresciuto in una famiglia che non ha mai smesso di stargli accanto, soprattutto quando aveva compreso che l'omosessualità (vera o presunta, non è questo il problema) di Orlando aveva scatenato gli istinti più infami degli haters.

Orlando, come tutti, frequentava i social e proprio lì si era imbattutto nei messaggi più bastardi: «Morte ai gay», «Fate schifo», «Dovete sparire». Lui, col suo carattere sensibile, cercava di fare spallucce; ma ogni volta che i leoni (ma sarebbe meglio dire le iene) da tastiera mordevano vigliaccamente, Orlando diventava un po' più triste. Mai rassegnato. Anche se si vedeva lontano un miglio che quei graffi vigliacci lasciavano sempre cicatrici nell'anima. Orlando reagiva, con frasi disperatamente belle: «Il problema delle menti chiuse è che hanno la bocca aperta». Voleva apparire sicuro, ma la fragilità, a 18 anni, è come un piccone sempre pronto a demolire ogni certezza. Di una cosa però Orlando era incrollabilmente persuaso: dell'amore dei genitori, del fratello e degli amici più cari. Ne aveva tanti di amici sinceri, ragazzi e ragazze che quando lo vedevano con quella strana espressione che avevano imparato a conoscere, gli si stringevano accanto abbracciandolo forte. Alla faccia del «distanziamento sociale». Perché l'affetto è più forte del Covid. E perché il contagio che Orlando temeva di più era il virus della malignità.

Per tutte queste ragioni, e tante altre, ieri sua mamma si è sfogata chiedendo «giustizia e verità» per suo figlio. Lei non crede che Orlando si sia tolto la vita volontariamente, piuttosto crede che qualcuno lo abbia indotto a farlo: «Non si è ucciso, lo hanno ammazzato».

Ma chi sono i suoi «assassini» morali? Qui cominciano i misteri su cui la Procura di Torino, che ha aperto un'inchiesta per omofobia e bullismo, dovrà fare chiarezza. L'ipotesi di «istigazione al suicidio» non è da escludersi, soprattutto alla luce delle tante testimonianze che riferiscono di Orlando che «si sentiva minacciato». Il giorno del suo - presunto - suicidio, Orlando non ha lasciato un biglietto di addio per nessuno: «Lui non lo avrebbe mai fatto. Anche la domenica della sua morte era sereno e sorridente. Il solito Orlando, con la sua gioia di vivere. Che qualcuno ha però voluto spezzare. E noi non avremo pace finché non daremo un nome e un volto a questo qualcuno», spiega Anna, la mamma di cui Orlando andava fiero, così come lei era orgoglioso di lui.

Una bella famiglia. Impastata con l'acqua della solidarietà e la farina della condivisione. Gente sensibile ai problemi del prossimo, e figuriamoci se quel «prossimo» era carne della propria carne.

Gli agenti della Polfer che, su mandato della Procura di Torino, indagano sulla morte di Orlando Merenda non trascurano nessun particolare: gli insulti via web indirizzati alla vittima sono stati individuati e messi agli atti dell'inchiesta, così come le testimonianze che gli agenti hanno raccolto tra alunni e insegnanti dell'istituto professionale frequentato dal 18enne: «Nei giorni precedenti la tragedia, appariva frastornato. Lo prendevano in giro perché era omosessuale».

L'obiettivo della mamma è preciso: «Trovare i colpevoli. Non mi darò pace finché non uscirà la verità. Mio figlio non è mai stato solo. Non ho mai pensato a un gesto estremo, non di sua volontà, non era una persona che pensava di togliersi la vita anzi sapeva che arrivato a 18 anni avrebbe potuto fare le sue scelte. Credo sia stato ingannato, deriso e umiliato».

Il fratello Mario: «Mi aveva confessato di aver paura di alcune persone.

Non mi ha spiegato chi fossero, non ha fatto nomi. Era preoccupato. Il suo ultimo saluto è stato portarmi un caffè con un Kinder Bueno. Spero che, lassù, dove si trova ora, abbia solo pensieri belli».

Quelli brutti li ha lasciati tutti qui, su questa terra.

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