Mancato lockdown di Alzano: anche Speranza sapeva tutto

Al vertice col Cts del 2 marzo 2020 anche il ministro con Conte. Però con i magistrati non ne hanno parlato

Mancato lockdown di Alzano: anche Speranza sapeva tutto

Adesso c'è una conferma. «Non sono in ufficio e dovrei controllare le carte - spiega al Giornale il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani - ma credo che della riunione del 2 marzo parli Agostino Miozzo». Il 2 marzo 2020, come rivelato dal quotidiano Domani, ci sarebbe stato un incontro del Cts in versione ristretta, ma con la partecipazione straordinaria del premier Giuseppe Conte e in quell'occasione i tecnici presenti avrebbero suggerito con toni accorati al premier e al ministro della Salute Roberto Speranza di chiudere i paesi della Val Seriana flagellati dal virus.

Dunque, sul calendario deve essere forse riscritta la storia, complicata e contorta, della mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, oggetto di furiose polemiche e di una lunga indagine della Procura di Bergamo, ancora in pieno svolgimento.

Qualcosa non quadra nel racconto di Giuseppe Conte e in qualche modo anche in quello di Roberto Speranza, tuttora seduto sulla poltrona di ministro. Conte ha sempre sostenuto - anche nell'interrogatorio del 12 giugno - che la richiesta del lockdown fu formulata solo il 3 marzo e fu portata alla sua conoscenza, per l'incredibile catena burocratica italiana, solo il 5 marzo. Lo stesso Speranza pone la data spartiacque non prima del 3 marzo.

Ma, a quanto pare, già il 2 la coppia aveva fra le mani elementi decisivi per prendere quella decisione cruciale e difficilissima, per le pressioni fortissime a non chiudere un'area così vitale per l'economia italiana. Ora di quell'incontro non esiste un verbale ufficiale, ma ci sono gli appunti presi da uno dei presenti e acquisiti dai pm di Bergamo.

Dunque, in quel meeting è il direttore dell'Istituto Superiore di sanità Silvio Brusaferro ad esporre i «numeri preoccupanti» del disastro ormai in corso. Ma Conte, secondo questa ricostruzione, tergiversa e fa pesare «il costo sociale e politico, non solo economico» del blocco. In chiusura, il premier «decide di rifletterci» e prende tempo. Altro tempo, in una situazione in cui anche le ore sono decisive. Conte si è dimenticato di questa drammatica riunione? E Speranza? Per ora, nessuna replica. Il Giornale ha chiamato ripetutamente l'ex premier e il portavoce del ministro ma nessuno dei ha ritenuto di rispondere.

Né aiuta a fare chiarezza Agostino Miozzo, pure interpellato dal Giornale e all'epoca coordinatore del Cts: «In quel periodo era tutto un susseguirsi di incontri. Eravamo in riunione permanente e col senno del poi si azzardano ricostruzioni lontane dalla realtà. In ogni caso il Cts spiegava i dati sulla diffusione dell'epidemia, e come ho spiegato un miliardo di volte, noi non abbiamo mai chiesto la zona rossa. Toccava ad altri trarre le conseguenze e valutare le nostre dichiarazioni. In ogni caso riguarderò i miei appunti».

Conte ha rimosso quel meeting? E come mai Speranza non ne ha mai fatto cenno? C'è un metro di valutazione politico e un altro penale, che però sta stretto, strettissimo a questa vicenda. Perché è difficilissimo, al di là delle lacrime, dei morti e della tragedia collettiva, rileggere quel che è accaduto con gli occhi del codice.

«Mi pare che Miozzo parli del 2 marzo - riprende Chiappani - ma la nostra inchiesta per epidemia colposa si concentra più su quel che accadde il 23 febbraio: dopo la scoperta del primo positivo, l'ospedale di Alzano Lombardo fu chiuso e poi inspiegabilmente riaperto. Perché non si seguì l'esempio di Codogno dove invece era appena stato imposto un lockdown durissimo?».

Dal 2 al 5 marzo fra Milano e Roma è tutto un vortice di incontri, allarmi, scambi di mail. La Lombardia non chiede formalmente la zona rossa, ma il 2 l'assessore Giulio Gallera implora con urgenza l'invio di squadre di medici in una regione travolta dalla pandemia. E il 4 marzo Speranza è a Palazzo Lombardia per l'ennesimo summit. Si temporeggia fino all'8 - quando tutta la Lombardia si colora di arancione - ma ormai la situazione è scappata di mano.

«Noi non trascuriamo nulla - conclude Chiappani - ma stiamo studiando soprattutto l'assenza di strumenti di prevenzione e la mancanza dei piani pandemici. Un quadro avvilente». Insomma, gli errori iniziano prima. Molto prima

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