Il cantiere della manovra è già partito. Non può essere altrimenti visto che la tabella di marcia, con l'entrata in vigore delle nuove regole di bilancio europee, è alquanto stretta: il 20 settembre, infatti, l'Italia dovrà presentare il piano pluriennale con il quale prevede di aggiustare i suoi conti. Ed è proprio all'interno di questi paletti che il governo dovrà mettere a punto una manovra che non vuole accontentarsi di preservare l'esistente. Ieri, il presidente della Commissione Finanze della Camera, Marco Osnato, ha detto che la manovra dovrebbe attestarsi «sui 25 miliardi, forse qualcosa in più», con un bilancio in ordine e misure che puntano ad «aiuti allo sviluppo e alle imprese e soprattutto all'aumento del potere d'acquisto dei lavoratori e delle famiglie». Intanto, circa 13 miliardi di coperture sarebbero già stati trovati, ne mancherebbero una dozzina. La parte del leone della manovra sarà imperniata su lavoratori, occupazione e famiglie: secondo Il Sole 24 Ore, il totale di queste misure dovrebbe costare 16,7 miliardi e si articola in nove punti. Ci sarà poi da fare i conti con il dossier pensioni e la Lega che spinge per Quota 41.
Avendo a disposizione già 13 miliardi, va da sé che il taglio del cuneo fiscale che costa poco meno di 10 miliardi è già blindato, così come del resto ha dichiarato lo stesso ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, il quale di recente ha ribadito che sarà «assolutamente confermato». La misura, che sta riguardando circa 14 milioni di lavoratori e vale fino a poco più di 100 euro al mese in busta paga, ha dato un valido contributo al recupero dei redditi reali evidenziato anche di recente dall'Ocse. Proprio per questo il governo non intende rinunciarci proprio adesso che il rinnovo dei contratti sta facendo gradualmente recuperare terreno agli italiani sull'inflazione devastante patita negli ultimi anni.
Discorso a parte merita la proroga dell'accorpamento delle prime aliquote Irpef, una misura che costa circa 4 miliardi e che ha già un suo canale di finanziamento autonomo. Si tratta del Fondo per la riduzione della pressione fiscale nel quale confluiscono anche i denari dell'ex Ace e il gettito della global minimum tax, che nel nostro Paese è entrata in vigore a gennaio di quest'anno e dispiegherà i suoi effetti per le entrate dello Stato dal prossimo anno. Proprio per questo, quindi, salvo colpi di scena clamorosi i tagli all'Irpef saranno ancora dei nostri nel 2025. Il discorso, più che altro, verterà su come si potrà un passo in avanti ulteriore: nelle ambizioni del governo, quindi, si vorrebbe ampliare il cosiddetto scaglione medio (attualmente tra i 28 e i 50mila euro) e portare fino a 55mila euro l'aliquota al 35%. Lo stesso viceministro Maurizio Leo, che si sta occupando della riforma fiscale, ha detto che chi guadagna 55mila euro «non può essere trattato come un super ricco» e pagare un'aliquota del 43%. Le risorse per finanziare questa ulteriore riforma potrebbero arrivare dalle partite Iva che sceglieranno di aderire o meno al concordato preventivo biennale.
C'è poi un ricco pacchetto di misure che hanno l'obiettivo di espandere il numero di lavoratori. Su questo punto, del resto, il governo ha ottenuto buoni risultati sul fronte dell'occupazione (al 62%) e con l'aumento dei posti di lavoro a tempo indeterminato. Motivo per cui l'intenzione è preservare la maxi deduzione del costo del lavoro al 120% (che sale al 130% per disabili, giovani under 30 ammessi agli incentivi, mamme con almeno due figli, donne vittime di violenza, ex percettori del reddito di cittadinanza e disoccupati) per chi assume a tempo indeterminato. Una misura che dovrebbe coinvolgere 380mila imprese e ha un costo di 1,3 miliardi. Alla stessa categoria appartiene decontribuzione Sud, lo sgravio che consiste in un esonero dai contributi per le aziende che operano nel Sud ad eccezione di quelle che operano nei settori finanziario, agricolo e domestico. Il governo, dopo una trattativa con la Commissione Ue, è riuscito a prorogarlo fino alla fine del 2024 (anche se solo per le assunzioni avvenute entro giugno di quest'anno). Al momento, lo sconto sui contributi è al 30% per le assunzioni fino a fine 2025, con discesa al 20% nel 2026 e 2027 e al 10% per il 2028 e 2029. L'Esecutivo vorrebbe rivedere la misura e per questo a fine anno tratterà con l'Ue. Da menzionare anche gli sgravi per le madri lavoratrici, una misura introdotta nell'ultima legge di bilancio con una durata triennale. Riguarda le donne con tre figli - assunte a tempo indeterminato - che hanno un esonero contributivo al 100% fino a 3mila euro e, in via sperimentale, è stato esteso per il solo 2024 alle madri con due figli, fino ai dieci anni d'età del bambino più piccolo. La misura costa 500 milioni, ed è un altro obiettivo importante per il governo Meloni che intende in incentivare la natalità e favorire la permanenza nel mondo del lavoro delle madri.
Un altro architrave delle politiche del governo riguarda l'incentivo alla produttività del lavoro. Va in questa direzione il bonus, già riconosciuto a 15mila imprese, che prevede una tassazione agevolata del 5% per i premi di produzione fino a 3mila euro a vantaggio di lavoratori che guadagnano fino a 80 mila euro. Riconfermare questo impianto costa 222,7 milioni.
Saranno poi da valutare la conferma dell'esenzione fiscale (fino a mille euro) per i cosiddetti fringe benefit (costo di 348,7 milioni); la conferma della social card anti povertà (che costa 600 milioni) e il taglio al canone Rai da 90 a 70 euro, compensato con un contributo di 430 milioni.
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