Massoni, furbetti e inciucisti. Gli impresentabili "blindati"

Di Maio: i candidati scomodi lasceranno. Ma nell'ultima legislatura sette dimissionari M5s sono rimasti in carica

Massoni, furbetti e inciucisti. Gli impresentabili "blindati"

«Quasi tutte le persone che abbiamo mandato via hanno firmato la rinuncia alla candidatura». E ancora: «Chiederemo di rinunciare alla proclamazione, cosicché tutti i cittadini possano votare serenamente il movimento perché comunque non verranno eletti». Il mantra che di Luigi Di Maio va ripetendo da quasi un mese, da quando cioè il movimento ha scoperto di aver inserito tra le sue liste candidati scomodi, si scontra non solo con la legge, ma anche con la realtà degli ultimi cinque anni. Che lascia presagire come gli impresentabili grillini - massoni, furbetti dei rimborsi o dei mancati versamenti, esponenti della tanto criticata affittopoli - resteranno comodamente al loro seggio fino alla fine della legislatura.

L'associazione Openpolis ha calcolato infatti che in quella appena terminata sono stati 53 i parlamentari che si sono dimessi, ma nel 75% dei casi si è trattato di rinunce per incompatibilità che quindi non hanno avuto bisogno dell'approvazione delle Camere. Solo 13 volte il Parlamento ha dato accolto le dimissioni di un suo membro, e si trattava di addii per incarichi incompatibili con il ruolo di deputato o senatore, o comunque ritenuti inconciliabili dai dimissionari: si va dagli impegni accademici di Enrico Letta (Pd), e Raffaele Calabrò (Pdl, poi Ncd), diventato rettore dell'università campus bio-medico di Roma, a Massimo Bray (Pd), che si è dedicato a tempo pieno all'Istituto dell'enciclopedia italiana. Per 13 parlamentari che sono riusciti ad andarsene, ce ne sono otto invece che pur avendo dato le dimissioni sono comunque rimasti in carica. Di questi sette erano stati eletti, guarda caso, proprio con il M5s. Il record di tentativi è detenuto dall'ormai celebre Giuseppe Vacciano, arrivato a Palazzo Madama con Grillo e poi passato al gruppo misto, bocciato per 5 volte. Ma ci sono anche Giovanna Mangili e Cristian Iannuzzi, eletti con i pentastellati, e respinti per 2 volte ciascuno. «La cosa che accomuna molti di questi casi è aver dato le dimissioni per un dissenso dal gruppo di appartenenza - evidenzia Openpolis - Quindi questi precedenti lasciano immaginare che i candidati coinvolti nei casi, anche se davvero decidessero di dimettersi, probabilmente resteranno in carica per tutta la durata della prossima legislatura». Nemmeno la strada della rinuncia prima della proclamazione invocata negli ultimi giorni da Di Maio regge dal punto di vista giuridico. L'atto della proclamazione avviene a elezioni concluse, quando «sulla base dei risultati ottenuti da ciascuna forza politica, gli uffici elettorali circoscrizionali e regionali dichiarano quanti e quali candidati sono stati eletti».

In questa fase vengono esclusi solo quelli che incorrono nella legge Severino, ma si tratta di condannati in via definitiva per reati con pene superiori a due anni. Una categoria che non riguarda gli impresentabili fatti fuori dai vertici pentastellati perché non rispondenti ai criteri del movimento. L'unica opzione che resta è quella, appunto, delle dimissioni, ma solo una volta accaparrato il seggio. Ma anche qui, solo per i casi di incompatibilità non è prevista la paletta del Parlamento.

In tutti gli altri, serve il semaforo verde delle camere: regolato spesso da strategie politiche, è un vincolo costituzionale nato per evitare che gli onorevoli lasciassero il posto dopo aver subito delle pressioni, «magari - riporta Openpolis - per far entrare eletti più fedeli alla linea del partito». O meno imbarazzanti.

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