Matera capitale della cultura (ma la cultura sta chiudendo)

La fondazione ha 36 milioni per promuovere la kermesse Eppure la biblioteca è a rischio e il teatro è abbandonato

Matera capitale della cultura (ma la cultura sta chiudendo)

Mancano solo due anni all'appuntamento ma il countdown non ha ancora acceso la città. Matera capitale della cultura europea è una straordinaria suggestione, ma rischia di diventare purtroppo un'occasione perduta. Per carità, è tutto un fiorire di vinerie, focaccerie, bed & breakfast, i turisti vengono calamitati dalla strepitosa bellezza dei Sassi, ma il salto in avanti non si è ancora visto. E il tempo a disposizione si restringe. Mancano, tanto per cominciare, le grandi infrastrutture, a cominciare dalla ferrovia che non è mai stata completata e non lo sarà nemmeno in questa tornata. Latitano poi i grandi progetti, quelli che segnano la vocazione di un centro urbano, come è successo a Torino per le Olimpiadi del 2006. Ma, stringi stringi, manca addirittura l'essenziale: la biblioteca, l'unica che c'è, funziona a singhiozzo dopo lo sfascio delle Province e, paradosso dei paradossi, potrebbe pure chiudere di qui al fatidico 2019. Stesso discorso per il teatro: ci sarebbe il glorioso Duni, mille posti, ma è in abbandono. Che fare? Ristrutturare l'usato sicuro o puntare su una nuova struttura? Nell'indecisione, tutto viene rinviato. E i problemi si accatastano gli uni sugli altri.

Come se non bastasse, si alzano ora critiche sempre più forti all'operato della Fondazione Matera 2019 che, comunque, pur fra difficoltà e con un budget non smisurato e anzi modesto di soli 36 milioni, dovrebbe trainare il capoluogo verso la consacrazione e la ribalta internazionale. Ma l'impressione è che si stia apparecchiando una kermesse di facciata: si rifà il trucco alla città senza ripensarla in profondità. Maquillage e cipria in un tessuto che in realtà perde pezzi. O va avanti per la forza straordinaria del suo brand, come si usa dire oggi.

«Io - dice senza tanti giri di parole Pasquale Di Lorenzo, fondatore del movimento Matera si muove, che ha dato una scossa alla politica e spostato il pendolo da sinistra a destra - questo traino non lo vedo. Anzi, mi pare che la Fondazione abbia perso per strada quella trasparenza tanto sbandierata davanti all'Europa per rendere più seducente la candidatura». Parole di parte, si potrebbe obiettare, ma gli stessi concetti ritornano nel ragionamento amaro di Giovanni Caserta, storico e intellettuale di impronta progressista: «Finora Matera 2019 non ha graffiato. E non ha lasciato il segno: c'è un programma, più di spettacoli che di cultura, ma questo calendario non chiama in causa le energie migliori della città, il suo ceto dirigente, i suoi artisti. E poi il progetto non incide nel tessuto: l'Archivio storico e la Biblioteca agonizzano, il Duni ha rinunciato alla sua stagione, le librerie emigrano in periferia, l'edicola storica è stata rimpiazzata dalla solita focacceria».

Certo, trarre conclusioni oggi è un esercizio arbitrario. Non solo, con 36 milioni è difficile lasciare un segno importante, ma non è solo questo il punto. Matera 2019 ha lanciato due progetti: la Open design school e il museo demoantropologico, un ambizioso viaggio a ritroso nella storia dell'uomo e una passeggiata suggestiva in un'area dei Sassi non ancora risistemata. Perfetto. Ma ci vorrebbe qualcosa in più. «Nessuno butta via i nuovi progetti, ci mancherebbe - aggiunge Caserta - ma oggi la città è un pallone che si gonfia. Matera 2019 non è agganciata all'economia reale, non crea occasioni di lavoro, il turismo cresce in modo disordinato, si rischia l'effetto Venezia, con la gente che se ne va. Pensi che MasterChef ci ha appena dedicato una puntata, ma l'industria della pasta è in declino e anche il pane non viene esportato come quello di Altamura».

Obiettivi corti e strategie non adeguate. Il modo in cui sta lavorando l'ente che dovrebbe spingere Matera sulla ribalta europea lascia perplessi i più. Nomine. Graduatorie. Bilanci. Tutto viene gestito con modalità che suscitano polemiche a non finire. Da quando è stata costituita nel 2014, la Fondazione non ha mai presentato un bilancio. Non l'ha fatto nel 2015, e nemmeno nel 2016, anche se in questo caso c'è tempo fino a giugno. Come mai? I maligni fanno notare che, se è per questo, non ci sono nemmeno i revisori che dovrebbero spulciare quei bilanci. E però la Fondazione è un ente di diritto pubblico. E come tale dovrebbe essere sottoposta a regole stringenti. Ma questa è la cornice.

Quel che più avvilisce è l'autoreferenzialità dei vertici.

Marchiati da una sorta di peccato originale. Per capire bisogna tornare al 2014, anno zero della scalata all'Europa. A pagina 92 del dossier si legge: «Il direttore generale è selezionato attraverso una procedura pubblica con l'ausilio di una giuria composta da esperti internazionali che sottopone al Cda una shortlist di candidati».

Dovrebbe essere questo il sontuoso biglietto da visita per far entrare i Sassi dentro il grande circuito europeo, ma le cose vanno in altro modo. Seguendo vecchie logiche: il sindaco di centrosinistra Salvatore Adduce prende Paolo Verri, direttore del Comitato, «padre» della fondazione, e lo sposta alla testa della neonata creatura. Un trasloco più che un investimento. Da destra parlano sarcasticamente di «autoincarico». Altro che long e short list. In un contesto di conformismo politico e culturale. Matera è una città di sinistra, in una provincia di sinistra, dentro una regione di sinistra: sembra un mantra del pensiero allineato, la dittatura morbida dei soliti noti. Tutti i posti che contano sono appannaggio di una classe dirigente lottizzata e ben sponsorizzata: è stato a suo tempo il sindaco di Torino Piero Fassino a segnalare il «sabaudo» Verri ad Adduce.

Poi però il giocattolo si rompe perché a sorpresa nel 2015 un gruppo di liste civiche di centrodestra espugna la città e spezza quel monopolio.

Ma fino a un certo punto. Il sindaco Raffaello De Ruggieri non tocca palla. O meglio, resta ai margini. E smaltita l'euforia il pallone potrebbe fare boom.

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