Mattarella e l'omaggio a Bergamo. "Qui il cuore ferito, il Paese s'inchina"

Davanti al presidente 243 sindaci della terra provata dal Covid Le note di Donizetti tra le lapidi. Ma i bergamaschi non ci sono

Mattarella e l'omaggio a Bergamo. "Qui il cuore ferito, il Paese s'inchina"

Le note di Donizetti si alzano solenni e struggenti nel cimitero di Bergamo. Il capo dello Stato è venuto qui, a rendere omaggio alla terra che ha pagato il tributo di vite più pesante al coronavirus. E Mattarella nel suo saluto ha avuto parole di ammirazione sincera per il coraggio con cui i bergamaschi hanno affrontato il flagello. Ma ad ascoltarlo, ad aspettarlo, financo a contestarlo, Bergamo non c'è.

Nella canicola della sera di fine giugno, la città appare deserta ed assente. In fondo al viale di cipressi che porta al cimitero, si raduna una piccola folla: è però solo un minestrone di gente bizzarra, di casi umani che con il cuore ferito di Bergamo hanno poco a che fare. Ci sono fascisti, cospirazionisti, terrapiattisti che urlano che le maschere non servono, ubriachi che sventolano la Moretti da 66. I bergamaschi, quelli veri, sono rimasti a casa. Come se arrivati a questo punto della catastrofe il loro unico desiderio fosse essere lasciati a piangere da soli. Su, in cima al viale, nel cimitero trasformato in anfiteatro, Sergio Mattarella intanto percorre la strada che porta alla chiesa di Ognissanti. È l'edificio simbolo della strage, la chiesa divenuta morgue per accogliere le bare in attesa di partire verso sud. Davanti al Presidente, ognuno con la fascia tricolore, ci sono 243 sindaci dei comuni colpiti dal virus. Due mancano all'appello perché sono caduti anche loro sotto la morsa del Covid, sono i primi cittadini di Cene e di Mezzoldo. E manca anche un sindaco che invece è vivo, Silvano Donadoni, che è rimasto nella sua Ambivere in segno di protesta contro una cerimonia che considera fatta di parole vuote: «È giusto onorare i nostri morti - dice - ma il modo per farlo è intervenire perché quanto accaduto non si ripeta, non farci trovare impreparati se il virus tornerà in autunno. Invece non si sta facendo niente». Anche tra gli altri sindaci, quelli che hanno raccolto l'invito di Mattarella, non mancano i toni accorati: «Ci siamo sentiti lasciati soli, lo Stato è sembrato lontano», dice Claudio Cancelli di Nembro, insieme ad Alzano l'epicentro dell'epidemia. Ma ora, aggiunge, «c'è bisogno di una riconciliazione che passa attraverso la coesione di tutte le forze politiche». Mattarella parla di «cicatrici indelebili» lasciate dall'epidemia nella coscienza del paese, e che ci costringono ora a «cambiare le nostre priorità». Bisogna, aggiunge, «assumere piena consapevolezza di quel che è accaduto», e può sembrare un riferimento, se non un incoraggiamento, alle indagini che la Procura di Bergamo sta conducendo sulla mancata zona rossa e sulle morti nelle Rsa. Sono le indagini che qualcuno ha già trasformato, sui muri e nei giornali, nella sentenza: «Fontana assassino». Ma lui, Attilio Fontana, presidente della Lombardia, nell'andarsi a sedere accanto a Mattarella appare sereno: «L'unico assassino - dice - è stato il virus».Nella città addolorata e distratta, a tenere alta la voce delle contestazioni ha provveduto uno dei comitati dei familiari, che ha portato il suo striscione davanti al municipio prima della cerimonia.

Mentre a radunarsi davanti al cimitero, guardati a vista dai carabinieri in tenuta antisommossa, è questa piccola platea di emarginati, con i neofascisti usciti da Forza Nuova che sventolano i loro labari tra gente che urla che Mattarella è «un abusivo» un «massomafioso». Cose che Bergamo, i suoi morti, il suo dolore, non meritano di sentire.

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