Per quanto in buona parte previsto, il round giudiziario portato a casa ieri da Matteo Salvini lascia il segno. Dopo il rinvio a giudizio per il caso Open Arms in quel di Palermo, infatti, il leader della Lega incassa a Catania il non luogo a procedere per la vicenda Gregoretti. Non ci sarà, dunque, nessun processo per aver trattenuto sulla nave della Guardia costiera 131 migranti per cinque giorni nel luglio del 2019. Una vittoria con formula piena che, secondo l'avvocato Giulia Bongiorno, influirà anche sulla vicenda Open Arms come in un «processo matrioska». E che, di certo, politicamente restituisce a Salvini un buon margine di manovra. Soprattutto sul delicato e divisivo tema dell'immigrazione, destinato con ogni probabilità a diventare centrale di qui a pochi mesi. Con l'estate, il bel tempo e il mare calmo, infatti, è nelle cose che gli sbarchi tornino ad essere argomento di scontro in una maggioranza all'interno della quale esistono sulla questione sensibilità lontane anni luce.
È soprattutto questa la ragione del nervosismo con cui è stata accolta la decisione del gup di Catania da un corposo pezzo della maggioranza che sostiene Mario Draghi. Non certo Forza Italia, ma sicuramente M5s, Pd e Leu. Non tanto - o forse sarebbe meglio dire non solo - per un personale astio verso Salvini, quanto per la consapevolezza che da oggi in poi il leader della Lega potrà farsi forte di quel non luogo a procedere e rivendicarlo come una medaglia. «È la dimostrazione che da ministro dell'Interno ho fatto semplicemente il mio dovere», spiega infatti l'ex titolare del Viminale. Pronto, guarda caso, a tornare alla carica sui due temi a lui più cari: riaperture e migranti. «Chiedo a Draghi - dice il leader della Lega - che l'Italia difenda i confini come Spagna e Malta. E spero in riaperture più rapide e più ampie di quelle che sento dire». Poi l'affondo contro il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, con cui Salvini non ha mai avuto un buon rapporto. «In questi due anni ha dimostrato di non essere in grado di controllare chi entra e chi esce dall'Italia», dice davanti ai riflettori. «Con lei al Viminale i numeri degli sbarchi sono tornati al livello di quando c'era Angelino Alfano», si è invece fatto scappare in privato nei giorni scorsi. Paragone ripetuto in qualche riunione ristretta del Carroccio dall'attuale sottosegretario agli Interni, Nicola Molteni. Poi, certo, il leader della Lega assicura che non ci sono problemi negli equilibri del governo, perché «l'interlocutore è solo Mario Draghi», non certo il ministro Lamorgese. Ma è di tutta evidenza che è un modo per buttare la palla dall'altra parte, visto che - è cosa nota - il premier è in assoluta sintonia con l'ex prefetto di Milano.
Risolta nei prossimi giorni la querelle aperture-chiusure grazie all'estate e alla campagna vaccinale, sarà dunque questo il terreno di scontro su cui si muoveranno i partiti della maggioranza nei prossimi mesi. Con il timore di M5s e Pd di un Salvini in grande spolvero, anche grazie alla sentenza di ieri. Non è un caso che sulla Gregoretti sia grillini che dem abbiano deciso di tacere. Non una dichiarazione di peso, il segnale evidente di un imbarazzo strisciante. Con Enrico Letta che ha deciso di tornare a puntare il dito contro il leader della Lega, ormai diventato il suo principale avversario. Quasi ai limiti del paradosso e con una sorta di inversione di ruoli. Il segretario dem, infatti, non perde occasione per dare addosso e prendere le distanze dal leader della Lega. Posizione politicamente comprensibile, ma che nei fatti inizia a diventare un filo caricaturale.
Proprio ieri, in questa sua rincorsa sfrenata al Salvini style, Letta è arrivato ad un passo dal lanciare un àut àut a Draghi, chiedendogli di «dare una nuova missione alla maggioranza», che «non può limitarsi al piano vaccini e a inviare il Pnrr a Bruxelles».
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