"Ora Renzi rischia l’estinzione". Qual è il destino di Matteo

Matteo Renzi ha rotto con il premier Giuseppe Conte per riacquisire un minimo di visibilità, ma i consensi non si spostano dal 3%

"Ora Renzi rischia l’estinzione". Qual è il destino di Matteo

Matteo Renzi è fra i peggiori politici italiani. Lo ha sentenziato Ilvo Diamanti su Repubblica in cui ripercorreva la parabola discendente del leader di Italia Viva, un partito 'personale' che stenta a decollare.

Ed è proprio la difficoltà a intercettare di nuovo il consenso degli italiani che ha portato il senatore di Scandicci a rompere con la maggioranza giallorossa. “Renzi si è trovato a condurre un partito che va tra il 3 e il 4% e, se non attirava su di sé l'attenzione, finiva che alle prossime elezioni non si sarebbe più parlato di lui”, spiega a ilGiornale.it il sondaggista Renato Mannheimer, fortemente convinto che Renzi, al momento, non aveva altra scelta che rompere con il premier Giuseppe Conte. “Se Renzi va all'opposizione ha l'opportunità di criticare più liberamente il governo e, quindi, avere più risalto nei media. Se invece rientra nel governo, ha sicuramente una posizione di maggior forza”, aggiunge il sondaggista. Che questa ennesima 'mossa del cavallo' porti dei vantaggi anche dal punto di vista elettorale “si vedrà”. Certo è che anche Eumetra attribuisce a Italia Viva il 3,2% e Mannheimer attesta la fiducia di Renzi intorno al 15-16%. “Il dato di Diamanti -aggiunge - evidenzia che pochi elettorali prendono in considerazione Renzi sia come peggiore sia come migliore ed è proprio questo che lui deve evitare: l'opacità”.

Renzi, secondo il vicepresidente di Swg, Maurizio Pessato, “ha giocato male le sue carte” visto e considerato che la crisi pare non essere stata capita dagli italiani. “Anche le persone, che magari non condividono appieno le scelte del governo, data la pandemia, fanno fatica a pensare a una situazione instabile”, sottolinea Pessato che, nonostante questo errore, riconosce che Renzi abbia avuto delle buone carte da giocare, quali il carisma e i contenuti, “però non è riuscito a farle fruttare”. Il sentire comune degli italiani, infatti, è diverso da quello del leader renziano. “Molti dicono che è vero che non tutto andava bene però la paura dell'instabilità è peggio”. Per il politologo Massimiliano Panarari la sensazione è quella che “si sia consumato un amore e che, quindi, sia molto difficile rimettere insieme i pezzi”. “È come se Renzi avesse consumato un patrimonio di consenso che aveva raggiunto alle Europee del 2014 e che ha avuto una progressiva accelerazione in negativo all'indomani della sconfitta nel referendum costituzionale”, dice Panarari.

Eppure il sogno di Renzi era quello di fare di Italia Viva un partito macroniano capace di rubare voti al Pd e, soprattutto, a Forza Italia. “Renzi si è fregato per troppa personalizzazione quando era al governo, mentre avrebbe dovuto cercare alleati dentro il Pd anche perché, in Italia, lo spazio per un partito macroniano è molto difficile da trovare”, mette in evidenza Mannheimer. L'area che l'ex premier vorrebbe conquistare è un'area centro, progressista moderata che, poi, è la stessa nella quale vorrebbe inserirsi il premier Giuseppe Conte. “La crisi serviva anche per impedire a Conte di diventare un punto di riferimento per settori significativi nel mercato elettorale centrista”, ci spiega Panarari. E aggiunge: “La crisi nasce anche perché Renzi aveva bisogno di strutturare il suo partito. Anche nell'era digitale e post-moderna, infatti, il consenso ha bisogno di un minimo di strutturazione o di presenza all'interno della società. Renzi si è accorto che il tempo non c'era e che non esistono caratteristiche all'interno della società italiana che consentissero l'operazione En Marche”. Per avere un futuro politico “Renzi dovrebbe diventare la sponda dell'Italia produttiva che non vota a destra e che è penalizzata dai lockdown e dalle scelte del governo. Dall'opposizione - spiega il politologo - potrebbe intercettare questa rappresentanza, quantomeno all'interno del discorso pubblico. Poi quanto otterrà alle elezioni dipende dal sistema elettorale e dalla possibilità per Renzi di essere terminale politico di settori sociali”.

Un presupposto importante per un leader di un partito personale come Renzi è essere in sintonia con l'opinione pubblica e Renzi non lo è. Anzi, lui “sconta l'antipatia, in alcuni casi anche esagerata, di larghi settori del Paese”, dice con un pizzico di malizia Panarari. Secondo il sondaggista Pessato, invece, la personalizzazione della politica “ funziona solo se il leader è legato a un partito grande e organizzato” e, a tal proposito, cita gli esempi di Gianfranco Fini e Mario Monti che “quando hanno tentato l'avventura solitaria, hanno fallito”.

E conclude: “Solo Silvio Berlusconi è riuscito a costruire in un secondo momento il partito, ma ha avuto la capacità di raccogliere l'eredità di elettorati che non avevano più i partiti di riferimento. Ha lavorato per creare un partito organizzato con mosse programmate con tutti gli uomini disponibili sulla scacchiera e non con mosse del cavallo”.

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