Roberto Fabbri
Carles Puigdemont smentisce definitivamente se stesso (alla vigilia del referendum aveva detto che non si doveva cedere all'emozione «rovinando il 2 ottobre ciò che sarà conquistato il giorno prima») e si accinge a proclamare ufficialmente lunedì prossimo l'indipendenza della Catalogna. I secessionisti varcano quindi il loro Rubicone, e dirà la Storia se è stata una buona idea. La palla è ora nel campo madrileno: tocca al governo centrale decidere come reagire alla sfida.
Mariano Rajoy sembra poter scegliere sostanzialmente fra tre alternative. La prima è la più morbida, e pare puramente teorica: intavolare una trattativa diretta con le autorità di Barcellona ormai apertamente ribelli al potere centrale. La seconda prevede di rivolgersi a Bruxelles per cercare un compromesso con gli indipendentisti oppure per ottenere esplicito sostegno a un'azione repressiva. La terza consiste infine nella risposta dura dello Stato spagnolo ai secessionisti, legittimata dalla Costituzione che dello Stato garantisce l'unità.
Analizzando più nel dettaglio le tre ipotesi a disposizione del premier spagnolo, la strada della trattativa diretta tra Madrid e Barcellona sembra in effetti impercorribile. Il leader catalano Puigdemont ha scelto consapevolmente la via della drammatizzazione del confronto e punta chiaramente a internazionalizzare la questione proprio per superare il dato di fatto della Catalogna regione spagnola. Dal punto di vista di Rajoy, inoltre, sarebbe di una concessione eccessiva e fuori luogo: il premier lo ha ribadito anche ieri al leader di Podemos, Pablo Iglesias, che gli proponeva una mediazione.
La strada che porta a Bruxelles può in teoria condurre Rajoy a un confronto mediato dall'Ue con i catalani ribelli (è quello che Puigdemont ha cercato invano di ottenere), o più realisticamente servire al premier di Madrid per ottenere assenso alla sua probabile scelta dell'intransigenza politica ed eventualmente anche dell'uso più o meno esteso della forza. A questo punto appare piuttosto probabile che Rajoy cerchi di ottenere, se non una legittimazione, una conferma politica a livello europeo della giustezza del suo agire.
L'opzione dello scontro finale tra due muri contrapposti appare purtroppo realistica. Tutto sta a vedere entro quali limiti questo avverrà: il rischio di violenze di piazza esiste e la loro degenerazione è un pericolo da evitare.
Rajoy, in piena sintonia con re Felipe, ha come stella polare la conservazione dell'unità nazionale: fallita ogni mediazione, potrà ricorrere all'articolo 155 della Costituzione che lo autorizza a «prendere le misure necessarie» per far rispettare gli obblighi costituzionali alle comunità autonome che «agiscono in modo tale da compromettere gravemente gli interessi della Spagna». Puigdemont potrebbe essere destituito, ma così si trasformerebbe in un «martire politico». A Rajoy non farebbe gioco, ma ormai è chiaro che soluzioni indolori a questa crisi non ne esistono.
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