Medici e infermieri, appello agli iscritti. "Chi non si vaccina non può lavorare"

Alte resistenze all'antidoto soprattutto tra il personale delle Rsa. Bassetti dopo l'iniezione: "Prima serviva una legge sull'obbligo"

Medici e infermieri, appello agli iscritti. "Chi non si vaccina non può lavorare"

L'appello, ora, è tutto agli operatori sanitari: vaccinarsi è un dovere. Lo chiedono gli ordini dei medici e degli infermieri ai loro iscritti di fronte al rischio di una bassa adesione in alcune aree d'Italia, il cui impatto è ancora tutto da misurare. Secondo l'infettivologo del San Martino di Genova, Matteo Bassetti, «andava fatta prima una legge» per rendere obbligatorio il vaccino per tutto il personale sanitario: «Vedremo a livello nazionale quale sarà stata la copertura alla fine di febbraio. A quel punto si dovranno prendere provvedimenti. Credo che in un ospedale, una struttura sanitaria, una Rsa possa entrare unicamente chi ha fatto il vaccino, chi non l'ha fatto non è giusto che lavori. Dobbiamo arrivare ad avere una copertura del 100%, non esiste 80-85%. Degli operatori sanitari chiunque dev'essere vaccinato». Anche chi ha già avuto il Covid: «I dati ci dicono che l'immunità dura 8 mesi, ma dobbiamo comunque vaccinarci perché, in ogni caso, si dà un colpo al sistema immunitario molto più ampio e più forte di quello che può dare un'infezione naturale».

I rischi di scarsa adesione sembrano essere maggiori tra gli operatori socio-sanitari delle Rsa. Particolarmente critica la situazione in Lombardia, dove per esempio, appena «il 20% degli operatori delle Rsa bresciane ha aderito alla campagna vaccinale. Troppo poco», ha detto il dg di Ats Brescia, Claudio Sileo. «Faremo di tutto per convincere i colleghi a vaccinarsi», ha assicurato Stefania Pace, presidente dell'ordine professioni infermieristiche di Brescia. Per questo proprio ieri Asst Spedali di Brescia e l'università hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione #stoCOnlaSCIENZA, rivolta anche agli operatori sanitari. Non va meglio in Piemonte dove Anaste (associazione nazionale strutture terza età) ha fatto un sondaggio a mille dipendenti su 3.800: il 70% ha dichiarato di essere contrario al vaccino. In Toscana ha aderito invece una quota maggiore, 8.700 operatori su 11 mila. Comunque numeri lontanissimi dal 100%.

Va meglio negli ospedali. Secondo un sondaggio riferito dal governatore campano Vincenzo De Luca effettuato nelle Asl di Napoli, «l'80% ha risposto con entusiasmo alla sollecitazione alle vaccinazioni». Invece in una rilevazione delle aziende sanitarie in Alto Adige solo il 30% ha risposto alla domanda sull'intenzione di vaccinarsi o meno. E il 40% tecnici e infermieri ha detto no. Più alta l'adesione tra i medici sondata dai primari in corsia, ma l'Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri, si rivolge con preoccupazione ai camici bianchi: «Vaccinatevi».

Ecco perché nel giorno del V-Day, si moltiplicano in tutta Italia da parte degli ordini gli appelli ai sanitari: «Vaccinarsi per noi medici è un obbligo deontologico. Obbligo verso i pazienti, con i quali ci confronteremo nei prossimi mesi, e verso una intera comunità», ribadisce il presidente Ordine medici di Taranto, Cosimo Nume. La Federazione nazionale degli infermieri (Fnopi), ricorda che la categoria «è la prima come numero di contagi (oltre 50mila da inizio pandemia e sono aumentati, in media, di 300 al giorno) e per vicinanza ai malati per i quali rappresenta spesso l'unico contatto con il mondo esterno». Barbara Mangiacavalli, presidente dell'ordine in Lombardia è stata tra le prime vaccinate e ricorda che «per un infermiere è un dovere verso i cittadini, verso i colleghi e anche verso la scienza in cui crediamo.

La professione infermieristica aderisce al principio inderogabile di tutela della salute delle persone e riconosce il valore delle evidenze scientifiche come base del suo agire». La Lombardia ha stabilito che in ogni provincia fossero i presidenti degli Ordini di medici e infermieri i primi a vaccinarsi. Un modo, anche, per amplificare il messaggio.

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