Giorgia boccia l'intesa. "Logiche da caminetto"

La premier dà conto alla Camera delle trattative di Bruxelles. E smonta l'accordo a tre: "Logica oligarchica che esclude alcuni"

Giorgia boccia l'intesa. "Logiche da caminetto"
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Si inizia alle nove del mattino a Montecitorio, poi pranzo al Quirinale (incassando il monito del presidente Mattarella: «Non si può prescindere dall'Italia») e quindi si prosegue in Senato fino al tardo pomeriggio.

Il consueto tour de force istituzionale del capo del Governo, alla vigilia del Consiglio europeo, stavolta si tinge di tensioni e asprezze fuori dall'ordinario: è il primo vertice post-voto dell'Ue, decisivo per definire gli sviluppi della legislatura. E arriva all'indomani di un accordo informale per la nuova maggioranza, che distribuisce i cosiddetti «top job» tra Ppe, Pse e Liberali tagliando fuori il partito di Giorgia Meloni, «mentre siamo il terzo partito in Europa».

Meloni in aula accusa: «È un errore di metodo e di merito che rischia di essere disgregante per l'Europa». Denuncia: «Così si apre uno scenario nuovo, in cui la logica del consenso, definita dalle scelte degli elettori, viene scavalcata da quella dei caminetti, dove tre partiti che si considerano maggioranza si dividono gli incarichi». Una «logica oligarchica» che determina «una conventio ad excludendum, che non intendo avallare e contesto, per cercare di mettere all'angolo alcuni paesi solo perché non si condivide il suo tipo di governo». Proprio mentre, sottolinea, «c'è stata una bocciatura indiscutibile per le forze di governo di molti Paesi: in Francia sono al 16%, in Germania al 32%, in Spagna al 34%. Solo in Italia il 53% degli eletti è espressione della maggioranza». E avverte: «Attenzione, perché la maggioranza che somma debolezze per dividersi gli incarichi poi si deve materializzare in Parlamento europeo, e non mi pare solida». Intanto il suo vice Antonio Tajani, che in Ue appartiene al Ppe, conferma: «Se ci fosse un accordo con i Verdi diventa difficile votare: potremmo astenerci o votare contro». Di certo, aggiunge, «l'Italia non può essere mortificata. Le spetta un vicepresidente, che sia anche un commissario con un portafoglio importante: lo dirò al Ppe».

La premier chiama in correità l'opposizione nostrana, a cominciare dal Pd: «Trovo folle che si dica che non bisogna negoziare con il governo perché in Italia c'è un esecutivo che non piace alla sinistra. Così ci si assume una grave responsabilità, cercando un soccorso esterno ma finendo per isolare il paese: una strategia che crea problemi all'Italia». In ogni caso, assicura, «non faccio inciuci con la sinistra, non li ho fatti qui e non li faccio neppure in Europa».

Da sinistra è Elly Schlein a confermare la linea della «conventio ad excludendum»: pienamente calata nel suo ruolo di anti-Meloni, la segretaria dem tuona: «Lei non vuole inciuci con la sinistra? Non si preoccupi: questa sinistra non è e non sarà mai disponibile: non si lamenti se nel Parlamento europeo, dove i Socialisti hanno più deputati di voi, ci opponiamo a qualsiasi alleanza con lei e i suoi alleati, che non credono nell'Unione europea». Nel duello Giorgia-Elly finisce relegato in terza fila il capo M5s Giuseppe Conte, che nel suo intervento rievoca i suoi epocali successi europei e ironizza su Meloni che «deve scegliere se essere incoerente o ininfluente, divisa tra i suoi due vicepremier Tajani (che fa parte del Ppe che ha sottoscritto l'accordo sui top job, ndr) e Salvini che contrasta ogni accordo». Sorvolando sul particolare che Salvini, sulla stessa linea anti-Ue, è stato anche il suo vice-premier, ai bei tempi.

Per Matteo Renzi «Meloni si è descrive a metà tra la grande statista e la piccola fiammiferaia tenuta fuori dai caminetti. Ma è il suo ministro Tajani che l'ha tenuta fuori, perché Tusk non voleva parlare con lei. Non è che non vogliono l'Italia, non vogliono lei».

Per il leader di Azione, Carlo Calenda, Meloni «ha scelto la strada della radicalizzazione dello scontro in Italia e in Europa. Ogni suggestione su una conversione di una sua conversione ad un conservatorismo europeista e liberale mi pare definitivamente spazzata via. Non finirà bene per l'Italia».

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