L'ultimo sondaggio risale a martedì scorso, un Swg che vede Fratelli d'Italia scavallare l'asticella del 31% (il 31,3 per l'esattezza), con dietro a oltre 13 punti di distanza il M5s (17,7). Un dato ovviamente confortante per Giorgia Meloni, anche se con la consapevolezza che sarà quella in corso la settimana chiave da monitorare. A Palazzo Chigi, infatti, hanno ben chiaro quanto il caro benzina abbia colpito l'opinione pubblica, anche parte di quella più vicino al centrodestra, sollecitata dai dubbi manifestati a più riprese da Lega e Forza Italia. Non è un caso che nell'ultimo Consiglio dei ministri la premier non abbia nascosto un certo fastidio per i distinguo degli alleati. Con il tris delle regionali alle porte (si vota in Lombardia e Lazio il 12 e 13 febbraio e in Friuli Venezia Giulia il 2 e 3 aprile) non è infatti il momento di aprire crepe che portino a un calo di consensi proprio alla vigilia del primo test elettorale del governo. Un passaggio non secondario, visto che le tre regioni contano insieme 17 milioni di abitanti.
Che il rischio di un primo contraccolpo nel gradimento dell'esecutivo sia più che concreto lo confermano anche i capannelli dei deputati in un Transatlantico affollato per il voto di fiducia sul dl Aiuti quater. Perché, dice Giulio Tremonti conversando a bassa voce con un suo collega deputato, «il potenziale imprevisto» è che «l'opposizione che al momento non esiste in Parlamento si possa saldare fuori di qui». Un chiaro riferimento all'eventualità che i rincari della benzina (ieri sera ha preso corpo l'ipotesi di un possibile sciopero dei benzinai a fine mese) possa diventare la miccia di un malcontento che serpeggia da tempo in un'Italia dove - dice il Censis - il 9,4% della popolazione vive in condizione di povertà assoluta.
Meloni è ben cosciente della situazione. E non da oggi se il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, dice che «il governo si è mosso mettendo in conto i rischi» e «scegliendo consapevolmente di utilizzare le risorse che aveva per finanziare misure per i meno abbienti». Così, in un video a social unificati, la premier spiega le sue ragioni. E dice che «con il taglio delle accise non ci sarebbero stati altri aiuti su sanità, bollette domestiche e crediti delle Pmi». Poi aggiunge di non aver mai «promesso in campagna elettorale» di tagliare le accise, perché quell'impegno risale al 2019, in un altro contesto economico e internazionale. Uno scivolone, visto che non solo il suo profilo Twitter ma anche il programma elettorale di FdI (pagina 26) la smentiscono. E infatti è un attimo che dalle opposizioni si apre un vero e proprio fuoco di fila (con Matteo Renzi che la taccia di essere «campionessa d'incoerenza»). Così, a sera Meloni è costretta a tornare sul punto per dire che l'impegno era tagliare le accise «qualora ci fossero state maggiori entrate dall'aumento del carburante».
Tra l'altro, è proprio su questo punto che a Palazzo Chigi e al Mef starebbero valutando possibili spazi di manovra per i prossimi mesi, utilizzando proprio l'extragettito dell'Iva derivato dall'aumento della benzina. Comunque, un intervento non a breve. Anche se Lega e soprattutto Forza Italia continuano a spingere per un nuovo intervento, convinte che il decreto sulla trasparenza sia del tutto insufficiente. Luca Squeri, responsabile Energia di Forza Italia, la ritiene una soluzione non solo «inefficace» e «difficilmente realizzabile in concreto», ma pure «populista». Non è un caso che il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica, l'azzurro Gilberto Pichetto Fratin, ci tenga a ribadire che «il taglio delle accise resta una misura di legislatura».
Nelle prossime settimane, intanto, Meloni è decisa ad accelerare sul dossier migranti, anche in vista del Consiglio Ue di Bruxelles del 9 e 10 febbraio. Ieri a Palazzo Chigi la premier ha riunito i due vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e i vertici dei Servizi per fare il punto sulla situazione. L'obiettivo è quello di stringere accordi con i Paesi di partenza dei migranti, così da ridurre gli arrivi. Già domani il ministro degli Esteri Tajani volerà in Turchia, di seguito in Tunisia e Libia.
Piantedosi, invece, è atteso ad Ankara lunedì. Mentre entro fine mese anche Meloni sta mettendo in agenda una viaggio in Libia, proprio per mettere direttamente la faccia su quello che considera uno dei dossier prioritari del governo.
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