L'applausometro di Palacio de Vistalegre dice inequivocabilmente che è Javier Milei il vincitore di «Viva24». Con un intervento che più teatrale non potrebbe essere, infatti, il presidente argentino prima intona Yo soy el leon dei La Renga (canzone che usa spesso come cavallo di battaglia nei suoi comizi) e poi attacca a 360 gradi «il socialismo maledetto e cancerogeno». Affonda pure su Begoña Gómez, la moglie del premier spagnolo Pedro Sanchez che Milei definisce «corrotta». I circa diecimila sostenitori di Vox assiepati in quella che decenni fa era una storica Plaza de toros della capitale vanno in visibilio. E peccato che qualche ora dopo Madrid decida di richiamare sine die l'ambasciatore spagnolo in Argentina e pretenda «scuse formali».
Ma l'annuale kermesse di Vox non è solo palcoscenico, bandiere spagnole (ce ne sono almeno tre di Israele) e fischi che vanno su di decibel ogni volta che sui maxi-schermi passano i volti di Sanchez e Greta Thunberg. Perché Santiago Abascal è riuscito ancora una volta a riunire sullo stesso palco quasi tutti i leader dell'eurodestra, da Giorgia Meloni (collegata in diretta da Roma) a Marine Le Pen, passando per Mateusz Morawiecki, leader polacco di Pis, e Viktor Orbán, il premier ungherese di Fidesz. Non un dettaglio quando mancano tre settimane dalle elezioni Europee del 6-9 giugno. Soprattutto considerando che si tratta di una galassia composita e che a Bruxelles aderisce a famiglie politiche diverse. Meloni è presidente dei Conservatori di Ecr (dove con Fdi militano Pis e Vox), il Rassemblement national di Le Pen è il partito più forte di Identità e democrazia (cui aderiscono Lega e l'ultra-destra di Alternative für Deutschland), mentre Orbán e il suo Fidesz sono tra i «non iscritti». Inevitabile, insomma, che la convention di Vox provi a essere un piccolo laboratorio dei futuri equilibri dell'eurodestra europea.
Il filo è ancora sottile, ma è chiaro che qualcuno sta tessendo la tela. Certo, nel suo intervento registrato c'è Orbán che resta fedele alla sua linea oltranzista e invita i «patrioti» a «occupare Bruxelles». Come pure, anche lui in un video-messaggio, molto duro è Morawiecki. Il registro sotto i riflettori, però, è quello di Meloni e Le Pen, secondo tutti i sondaggi destinate a diventare le due donne forti della destra europea. E dopo le distanze di quasi due mesi fa - quando la candidata all'Eliseo attaccò la premier italiana per il suo rapporto troppo stretto con Ursula von der Leyen - ieri i toni erano decisamente smussati. Non è un caso che i discorsi delle due siano stati limati dopo ripetuti contatti tra i rispettivi staff, segno che l'intenzione è quella di avvicinarsi e non certo di creare solchi. La conferma arriva da Le Pen che, intercettata dai giornalisti italiani prima di salire sul palco, dice che con Meloni «ci sono punti in comune». «Lei e Matteo Salvini - aggiunge - hanno a cuore la libertà, non c'è dubbio che ci siano convergenze».
Così, Le Pen è sì critica verso l'Europa «centralizzata» che «promuove movimenti islamici e woke». Ma - a parte un passaggio rapido e generico su Emmanuel Macron e von der Leyen - evita accuratamente di andare al muro contro muro con la presidente della Commissione Ue. Meloni, dal canto suo, interviene come al solito in spagnolo, spinge sui temi identitari cari alla destra e critica un'Europa che «noi dobbiamo costruire diversa e migliore». Poi bolla come una «follia» il green, difende gli agricoltori e punta il dito sull'utero in affitto. Infine, guarda al voto di giugno. «Un cambio in Europa è possibile se i Conservatori saranno uniti, noi - dice - siamo il motore del rinascimento del nostro continente».
Insomma, in vista del post-voto Meloni e Le Pen cercano di mettere da parte le distanze. Non è un caso che si evitino accuratamente gli argomenti più divisivi, come il rapporto con il Ppe (ieri solo Jorge Buxadé di Vox ha avuto parole dure) e con von der Leyen. D'altra parte, nonostante i sondaggi dicano che ci sarà uno spostamento a destra del Parlamento Ue, per eleggere il prossimo presidente della Commissione serviranno alleanze larghe, quasi certamente coinvolgendo S&D. Il fatto che Meloni abbia criticato l'agenda 2019-2024 dell'Ue lascia a qualcuno il dubbio che la premier ritenga improbabile un Ursula-bis, ma tra i big di Fdi c'è chi giura che non è così. E che semplicemente Meloni ha parlato a una platea conservatrice con le cautele di chi sa che solo a urne aperte si potranno fare i conti.
Che poi, nel suo complesso, è il succo della kermesse di Vox. Dove si sono incrociate destre diverse e, su alcuni dossier decisivi, distanti. Anche questi, non certo per caso, messi da parte. Non si è quasi parlato di Israele e Gaza, anche se l'intervento dal palco di Amichai Chikli, ministro della Diaspora di Tel Aviv, ha tenuto vivo l'argomento. Silenzio assoluto, invece, sulla guerra tra Russia e Ucraina. Che non solo è alle porte dell'Europa, ma che rischia di essere il principale tema su cui si cercherà di trovare una maggioranza omogenea e filo-atlantica che sostenga il futuro presidente della Commissione.
Insomma, un tema centrale del confronto politico europeo e globale. Eppure, non un parola. Perché è su questo dossier che l'eurodestra è più distante.Si tesse la tela, ma con prudenza. Aspettando i numeri reali delle urne.
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