Già da mesi, con la crescita di Fdi in tutti i sondaggi, la Meloni si aspettava un attacco. «I nostri avversari cercheranno in tutti i modi di denigrarci e presentarci come degli irresponsabili», così si legge in un documento interno del Dipartimento organizzazione di Fratelli d'Italia (guidato dal deputato Giovanni Donzelli) inviato via mail a tutti i dirigenti del partito il 1 luglio scorso. In quel testo - reso noto da AdnKronos - si raccomanda ai responsabili territoriali di Fdi di «verificare con attenzione che nessuno dei nostri rappresentanti offra spunti utili con scivoloni, frasi e comportamenti non consoni», evitando ogni «leggerezza su temi come il razzismo, la violenza, qualsivoglia discriminazione o fanatismo di ogni genere». Un decalogo che sembra scritto per evitare autogol come quello commesso dall'europarlamentare Carlo Fidanza. «I contenuti di post e volantini non devono essere offensivi verso nessuno e non devono istigare alla violenza nemmeno indirettamente. Lasciamo alla sinistra la rabbia e l'odio» si legge ancora, tra le altre raccomandazioni della circolare. Un testo richiamato due giorni fa da una lettera della Meloni ai militanti, in cui la presidente di Fdi ribadisce che nel partito «non c'è spazio per razzismo, odio, nostalgie storiche e tentazioni totalitarie», e quindi chi «chiunque offra, con comportamenti non adeguati, occasioni di macchiare il faticoso percorso che abbiamo intrapreso per dare all'Italia una destra moderna e adeguata al governo della Nazione sarà considerato incompatibile con Fratelli d'Italia».
Concetti ripetuti in una intervista al Corriere della sera, «nel dna di Fratelli d'Italia non ci sono nostalgie fasciste, razziste, antisemite. Non c'è posto per nulla di tutto questo. Nel nostro dna c'è il rifiuto per ogni regime, passato, presente e futuro. I nostalgici del fascismo non ci servono: sono solo utili idioti della sinistra, che li usa per mobilitare il proprio elettorato». Parole che non convincono a sinistra: «Provo disagio personale ad avere in Consiglio comunale chi fa il saluto romano - dice il sindaco di Milano Giuseppe Sala - Ho letto nelle parole della Meloni quasi lo stesso disagio, ma deve essere conseguente, serve molta fermezza». L'equiparazione tra ideologie totalitarie, comunismo e fascismo, fatto dalla leader Fdi non piace agli ex eredi del Pci. «Ridicola sul piano storico oltre che culturale l'equiparazione tra il regime sovietico e quelli nazifascisti» commenta Arturo Scotto, coordinatore di Articolo Uno. Anche al deputato Pd Andrea De Maria, dirigente Fgci da studente negli anni '80, indigna il paragone fascismo-comunismo, «come se non conoscesse il ruolo dei comunisti italiani per la conquista della libertà e la costruzione della democrazia» dichiara il piddino. Anche l'Anpi polemizza, e chiede «lo scioglimento di Forza Nuova, CasaPound, Lealtà e Azione». Il grillino Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia alla Camera, chiede, come prova di antifascismo, che la Meloni sostenga la proposta di legge «contro l'uso di simboli e immagini che possano propagandare le idee nazifasciste». Ogni frase fuori posto degli esponenti di Fdi, o dei candidati sostenuti dalla Meloni, apre un varco alle critiche di tollerare neofascismo o antisemitismo, come dimostra il caso delle frasi di Enrico Michetti sulla Shoah pubblicate un anno fa sul sito di RadioRadio.
La Meloni, come prima di lei Salvini, si sente nel mirino, e la storia a orologeria tirata fuori da Fanpage ne è per lei la prova. Un'altra è il poco spazio che i media danno alla notizia dell'assessore siciliano di Fdi che ha rifiutato una tangente e denunciato i corruttori. «Il grande circo mediatico, tanto caro alla sinistra, su questo episodio preferisce tacere - commenta la leader Fdi - Probabilmente perché scomodo a una certa narrazione che mira solo a demonizzare il nostro partito».
A Roma invece, sempre per stare in tema di due pesi e due misure, Fdi denuncia la «vergognosa iniziativa negazionista delle foibe» organizzata in un municipio di Roma dall'esponente di sinistra Christian Raimo, presente Tomaso Montanari, il critico d'arte che aveva definito il Giorno di ricordo delle foibe una «falsificazione storica».
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