Cromosomi, esami, valori di testosterone, ormoni, Imane Khelif era una bambina no non è mai stata bambina e poi elle, gi, bi, ti, qu, i, iniziali in campo e sul ring, esperti e non esperti, dibattiti pret a porter sulla legittimità o meno di determinate definizioni scientifiche. No, no, no. Non era questo il problema, l'abbiamo scritto fin dal primo giorno, il tema era ed è l'equità nello sport. Serve l'uguaglianza nella competizione, il diritto sacrosanto di poter competere ad armi pari, lasciando che il resto non lo facciano né il doping vero delle sostanze e provette, né il nuovo doping provocato dalla superficialità con cui si stanno gestendo la presenza, e sarà sempre più così, di atleti con caratteristiche fisiologiche particolari e le nuove frontiere dello sport che ha bisogno di regole all'altezza. E proprio in direzione dell'equità nello sport è andato l'incontro di ieri mattina tra la premier Giorgia Meloni e il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach. «Nel corso del faccia a faccia», ha fatto sapere in una nota Palazzo Chigi, «è stato affrontato anche il caso dell'atleta Imane Khelif e il tema delle regole per garantire equità nelle gare sportive. Il Presidente Meloni e il numero uno del Cio Bach, hanno concordato che Governo e Cio rimarranno in contatto per valutare come affrontare la questione per il futuro».
Non ha importanza se l'incontro fosse già stato fissato e vertesse anche e soprattutto sulla future olimpiadi di Milano-Cortina, conta che ha almeno un poco destabilizzato le convinzioni inamidate del Cio. «Per ragioni personali ho visto il match, se volete la mia opinione è durato poco» ha esordito Mark Adams nel corso del briefing giornaliero all'interno del Main press center di Porte Maillot. «Per noi conta che questa atleta abbia gareggiato per anni e persino contro tre pugili italiane; e se iniziamo a basare il nostro giudizio su questi sospetti allora dovremmo tornare ai metodi di verifica basati sui test genitali e di genere banditi dal 1999. Se gli atleti sono idonei per passaporto ed esami precedenti, allora per il Cio sono ok. Altrimenti inizierebbe una inutile caccia alle streghe... siamo però pronti ad ascoltare eventuali soluzioni che possono proporre le varie parti». E meno male. Alla fine una frase che assomiglia a una leggera apertura. Vedremo. Tutto questo mentre è indubbio che nell'intera vicenda il Coni e il suo presidente, Giovanni Malagò, siano tra due fuochi: quello che arde forte a tutela di ogni atleta azzurro e quello dei principi olimpici. «Alle nostre richieste per avere garanzie e certezze» ha spiegato il n°1 del Coni «ci è stato detto che per la commissione scientifica l'atleta rientrava nei parametri Cio, detto questo io sto con Angela».
Mentre qui e non solo qui tutto si infiamma, mentre la federboxe ungherese tuona all'indirizzo dell'algerina perché oggi affronterà una pugile magiara, anche l'algerina va difesa e protetta perché non è lei ad essere sbagliata o a sbagliare, sono i regolatori, sono i controllori, sono coloro che governano il carrozzone a cinque cerchi che avrebbero potuto con largo anticipo evitare riflettori e gogna. Per questo giova ricordare che sarebbe bastato lavorarci sopra con i tempi giusti: in atletica per anni splendide mezzofondiste dell'intero globo terracqueo non hanno toccato vittoria o podio per la presenza di Caster Semenya e le sue sorelle androgine o con valori ormonali particolari. Il podio degli 800 metri piani della finale dei Giochi 2016 a Rio de Janeiro grida ancor oggi vendetta. La canadese Melissa Bishop vincitrice morale quarta dietro a Semenya oro, Francine Niyonsaba argento e Margaret Wambui bronzo. Andatele a vedere tutte e quattro e poi torniamo qui a parlare di equità sportiva.
Per fortuna l'atletica di sir Sebastian Coe, ex olimpionico e mezzofondista, subito dopo simili podi prese il toro per le corna imponendo parametri fisiologici precisi per poter competere. Fu politicamente scorretto. Ma giusto per lo sport.
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