Presidente La Russa, Renzi ha detto che lei è una persona anziana È stato offensivo?
«Auguro a Renzi, che pensava di offendermi, di riuscire a crescere prima di raggiungere la mia età. Io sono cresciuto con gli anni. Lui per ora sta calando»
Perché Renzi l'ha attaccata così violentemente due giorni fa in Aula?
«Lui è abituato a fare interventi da senatore top. Tutti zitti ad ascoltarlo. Forse ormai non è più top. E poi stava parlando di una cosa noiosissima, la questione dei cachet che i parlamentari possono o non si possono prendere all'estero. Argomento legittimo, per carità, ma che non scalda i cuori. Così i senatori si erano distratti e non gli davano orecchio. Si deve essere indispettito».
Ha detto anche che lei è un camerata.
«Ognuno può chiamarmi come vuole, avrebbe potuto chiamarmi anche compagno, avrei avuto la stessa identica reazione. Forse sarebbe stato più corretto se mi avesse chiamato presidente. Al presidente, quando è in funzione, ci si rivolge con il termine presidente. Ma possiamo perdonargli anche questa».
Ma lei stimava Renzi?
«Pur nella totale diversità di opinioni, l'ho sempre rispettato. Addirittura una volta, quando mi chiesero con chi volessi andare a cena degli avversari, io risposi Renzi».
Ci andrebbe ancora?
«No, mi annoierei».
Con chi andrebbe a cena degli avversari?
«Boccia o Patuanelli. Non le faccio nomi di donne sennò poi chissà che dicono di me»
Cosa si può fare per liberare Cecilia Sala?
«Tutto quello che il governo fa tutte le volte che c'è un italiano imprigionato più o meno ingiustamente e in questo caso del tutto ingiustamente. Tutta l'azione diplomatica necessaria, indipendentemente dalla persona e dalle idee che professa».
Questi due anni di governo Meloni come li giudica?
«Da Presidente del Senato, per rispondere alla domanda, prendo a prestito i giudizi non della maggioranza, non dell'opposizione, ma degli osservatori stranieri. I giornali stranieri testimoniano tutti la novità di questo governo italiano che è credibile e nello stesso tempo stabile».
L'assoluzione di Salvini per lei è una sconfitta delle toghe rosse?
«Io la vedo da un altro punto di vista. Da uomo di destra che non è un mangiatore di magistrati. Penso per esempio a Borsellino che noi volevamo Presidente quando era vivo e invece è stato scoperto da tutti gli altri quando era morto. E penso ai tanti magistrati della giudicante o della Procura con i quali ho avuto a che fare nella mia attività di avvocato penalista. Dico che questa storia della assoluzione di Salvini dimostra che di fronte a un esiguo numero di magistrati che nella sua funzione si fa orientare dalle sue posizioni culturali o politiche c'è la maggioranza dei magistrati che sa giudicare e correggere gli eventuali errori dei propri colleghi. Guardo più a chi ha assolto Salvini e ha corretto il teorema che a quelli che lo hanno mandato a giudizio».
Separazione delle carriere?
«Sì, ma la considero molto meno importante del sorteggio dei magistrati del Csm. La separazione delle carriere anziché una rigida separazione delle funzioni non la considero così decisiva in presenza di una riforma del Csm in cui con il sorteggio le correnti non hanno più motivo di essere. Quello che serve è eliminare certi meccanismi correntizi che nella magistratura creano più danni di quanti ne creino già in politica».
A chi le dice che lei nonostante sia il presidente del Senato non hai perso lo spirito militante del partito cosa risponde?
«Quando dirigo l'aula che è il compito del presidente, cerco, credo riuscendoci, di essere assolutamente imparziale. Quando non sono nel ruolo di presidente del Senato, fuori dalle mie funzioni, mi trattengo lo stesso, non creda. Faccio il 30% di quello che farei se non fossi presidente del Senato. Ma mi trattengo senza che questo sia un obbligo. Tutti i presidenti delle Camere che sono venuti dalla militanza politica hanno continuato a fare battaglia politica. Pensi a Fanfani, a Cossiga, a Fini, a Grasso. Questi ultimi due addirittura hanno fondato un partito mentre erano presidenti. E Fanfani faceva le riunioni della sua corrente a palazzo Giustiniani. D'altronde è il regolamento del Senato che obbliga a differenza dei senatori a vita a iscriversi ad un gruppo parlamentare».
Come è rivestire questo ruolo?
«È un'esperienza che mi onora e che rende giustizia alla storia politica del mondo dal quale provengo. Se mi chiede se mi diverte sicuramente mi divertiva di più fare il capogruppo o il ministro della Difesa».
Lei rivendica tutto ciò che ha fatto nel suo passato?
«Non riesco nemmeno a contare gli errori. Se dovessi sceglierne uno direi di quella volta che parlando dell'attentato di via Rasella dissi che le vittime erano componenti di un gruppo militare bandistico. È stato un errore, mi ero documentato su una fonte non attendibile. E comunque quei soldati non erano delle SS come qualcuno ha scritto».
La preoccupa il dilagare dell'antisemitismo?
«Mi preoccupa molto anche perché è un antisemitismo in qualche misura più difficile da combattere. Adesso l'antisemitismo è di tipo ideologico culturale politico. Ha più coperture di quante ne abbia mai avute dal dopoguerra. Io sono preoccupato e ho espresso più volte la mia preoccupazione alla mia amica Segre, a Meghnagi che è il capo della Comunità Ebraica di Milano e a tutti gli esponenti della comunità romana con cui ho un ottimo rapporto».
Tutte le grandi nazioni europee sono in crisi, sembra che l'Italia faccia eccezione. Secondo lei è merito della Meloni o della fortuna come dicevano i romani?
«Il merito è sempre anche un po' figlio del confronto. Il più grande calciatore del mondo è quello che è più bravo di un altro altrettanto bravo o quasi. La Meloni sicuramente è un Ronaldo o un Messi della politica. Quello che lei chiama fortuna è che non ne vedo altri in Europa al suo livello in questo momento. Oltre a essere una top, nel confronto emerge come una gigante».
Dopo Berlusconi la Meloni si dice che sia riuscita a portare l'Italia ad assumere un ruolo di vertice nei tavoli internazionali.
«La cosa che caratterizza l'esecutivo Meloni è la stabilità e la credibilità che lei ha saputo dare a questo governo».
Il Papa ha chiesto l'amnistia. Nordio ha risposto di no. Lei cosa pensa?
«Quello che è sicuro, e lo dico da avvocato penalista, è che il carcere ha due funzioni: una retributiva e una educativa. Quando tu dai cinque anni di carcere devi sperare che in quei cinque anni il condannato migliori ma contemporaneamente che paghi la sua colpa. Il problema è: riusciamo noi a dare alla detenzione queste due funzioni? Se riusciamo a darle non abbiamo bisogno né di amnistia né di indulto. Se non ci riusciamo, a volte è corretto rifugiarsi in amnistie o piccoli indulti».
Siamo a fine anno, un biglietto di auguri alla Schlein.
«Metti a frutto la simpatia e non sforzarti di fare la faccia cattiva».
A Conte?
«Caro Conte, invece di fare l'avvocato del popolo potresti fare un corso di teatro e magari con Grillo la potresti anche spuntare».
Alla Meloni?
«A Giorgia gliel'ho mandato. Un cuore da fratello maggiore senza parole».
E a Renzi
«Neanche il cuore, mando un biglietto in bianco e gli dico: riempilo tu».
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