E a un certo punto, Giorgia dice persino un paio di cose di sinistra. «Lo Stato deve mantenere il controllo delle aziende strategiche. Con me a Palazzo Chigi non c'è nessuna possibilità di vedere Poste privatizzata. Noi amici degli evasori? Ma se il 2023 abbiamo fatto il record del recupero fiscale...». Quanto alla Schlein, forse le sta pure simpatica. «Mi e piaciuta una sua frase quando è diventata segretaria del Pd: non ci hanno sentito arrivare. È successo anche a me». Poi però basta. Saltato il confronto, c'è solo tempo per un duello a distanza sul premierato e il lavoro, un botta e risposta dallo stesso palco, al festival dell'Economia di Trento. «Ringrazio Elli di aver parlato di salari, così ci ha ricordato i disastri che la sinistra al governo in dieci anni ha causato all'Italia. Non accetto lezioni». Quanto alla leader Pd non si fa mancare i colpi duri: sul caso Toti («non ha detto una parola sull'arresto. È il silenzio degli indecenti») e sul ritiro del redditometro (per strizzare l'occhio ai furbi»). Quanto al premierato: non c'è margine di dialogo, ma se si toglie dal tavolo l'elezione diretta del presidente del Consiglio, il Pd «è disposto al confronto».
CASO RANUCCI
Lezioni, dice la premier, non ne prende. Nemmeno sulla Rai. «Definirla Tele Meloni è una fake news. Venendo qui mi sono imbattuta nel post di una esponente del M5s che va a cena con il conduttore di Report, il quale pubblica la foto e invita a scrivere sulla scheda il nome della candidata alle Europee». Niente di male. «Tuttavia immaginate se lo avessi fatto io con Chiocci che chiede di votare Giorgia: ora pretenderebbero le dimissioni del direttore del Tg1». La stampa è libera, «anche di fare campagna elettorale». Però «non si possono tollerare due pesi e due misure».
POSTE
Niente svendite. «Voglio essere chiara. Oggi la quota dello Stato è del 65% e, dando per scontato di mantenere la proprietà al 51%, si può discutere di mettere sul mercato le quote in eccedenza». Solo se serve. Solo «se le destiniamo alle famiglie e piccoli risparmiatori e dipendenti di Poste».
REDDITOMETRO
Una marcia indietro, che Meloni preferisce definire un approfondimento: «Dobbiamo ragionare sulla strada migliore per colpire la grande evasione». Il viceministro Leo è assolto. «Grazie al suo lavoro si sta cercando una norma a garanzia dei contribuenti che non lasci poteri illimitati all'amministrazione». C'è comunque un buco da riempire, dopo che lo strumento varato nel 2015 da Renzi e stato abilito tre anni dopo da Conte. Il decreto non è mai venuto alla luce e oggi resta «troppa discrezionalità». La premier vuole lavorare sull'accertamento sintetico, «per scoprire i nullatenenti che girano in Ferrari». Bisognerà trovare un'intesa nella maggioranza.
ECONOMIA
«Mi sento Mr Wolf, ogni giorno mi alzo per risolvere problemi. Vedo mia figlia solo un'ora al giorno. I salari ad esempio «sono tornati a salire» e Giorgia si dichiara «fiera della scelta di mettere le risorse sulle retribuzioni». Per non parlare dei 31 miliardi di evasione recuperati. Certo, i soldi in cassa sono sempre pochini. «Serve una stretta sul superbonus per non mandare i conti fuori controllo». E sarà pure un sacrificio impopolare, una sterzata che non convince gli alleati, «però bisogna frenare l'emorragia». In ogni caso, fa notare, le agenzie di rating non ci hanno penalizzato. «L'Italia è affidabile e grazie alla solidità della maggioranza, si possono costruire strategie di lungo respiro». Stabilità. «A Natale il nostro sarà il sesto governo più longevo».
PREMIERATO
«È una riforma necessaria al Paese. Stiamo modificando sette articoli della Costituzione per dare ai cittadini il boccino delle decisioni, per scegliere da chi essere governati». Peccato che, dice, «la sinistra faccia ostruzionismo». La Meloni intende andare avanti. «Ne vale la pena, o la va o la spacca, purché non mi si chieda di scaldare la sedia o di sopravvivere», tipo Andreotti.
EUROPA
La von der Leyen che si riaccosta, la Le Pen che guarda al centrodestra. Grandi manovre in vista di Bruxelles e la Meloni si lascia mani libere.
Con Marine «punti in comune», dalla transizione verde all'identità, «ma non è in vista alcuna unificazione tra conservatori e Id». Però insomma, «si potrà lavorare insieme su qualche dossier». Intanto si spera di non avere «una maggioranza arcobaleno», che paralizzerebbe la Ue.
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